Il 26 gennaio, si è svolta nel teatro “Vittorio Currò” dell’Oratorio Salesiano di Barcellona P.G. la presentazione del ventiduesimo rapporto sull’immigrazione edito da Ufficio Migrantes e Caritas Diocesana. Il progetto che ne è alla base risale al 1991 quando la Caritas avvertì la necessità di promuovere la conoscenza di dati reali circa il complesso fenomeno migratorio mondiale. Causa di tale allarme, purtroppo fondato, fu in quel periodo di profondi cambiamenti la paura del dilagare di fenomeni già visti altrove: xenofobia e razzismo. Basta poco infatti ad alimentarli, partendo proprio da un subdolo o comunque errato uso dei mass media.
Molte volte si è sentito parlare di “popoli in movimento” in tono allarmato, quando non si è addirittura apertamente definito immigrato “colui che toglie lavoro e non paga le tasse”; infine le continue notizie di consistenti sbarchi sulle coste meridionali del nostro paese hanno disegnato nella mente comune l’immagine di un’Italia presa d’assalto da nuove “invasioni culturali”.
Invece allarmismi del genere possono e devono essere scongiurati tramite dati certi perché, ricordando le parole di uno degli ideatori del progetto, “i numeri non sono tutto ma il trascurarli, leggerli in maniera sbagliata o spacciarli a caso significa fare una vera e propria azione di terrorismo statistico sull’opinione pubblica, ingerendo la paura di una invasione che non c’è”.
Ben vengano dunque le stime, purché si ricordi che oggetto e soggetto di queste statistiche non sono un insieme di numeri “bensì persone che cercano un luogo in cui vivere in pace” come rammentato da Benedetto XVI lo scorso 13 gennaio per la 99sima Giornata del Migrante. Di qui lo slogan “Non sono numeri” che ieri ha acquisito ulteriore forza con la presenza di alcuni immigrati inseriti nella società italiana della quale, guardando ai fatti, sono una componente attiva perché “società” e “cultura” non sono reciproci sinonimi.
Perché questo è il nocciolo del problema che ieri, unico neo di una manifestazione riuscitissima, non è stato affrontato pur trovando in realtà più di una conferma nelle testimonianze di prima e seconda generazione. Significativa in particolare quella di Monia Benr’Houma, barcellonese di origini tunisine al terzo anno di liceo scientifico: “Io sono metà e metà, culturalmente italiana perché nata qui ed al contempo tunisina; così alla fine non sono né l’uno né l’altro perché di fatto non sono nè italiana nè tunisina”. Proprio in queste parole è rilevabile il reale tarlo dell’immaginario collettivo che, immancabilmente, va a plasmare la stessa concezione che gli immigrati hanno di sè: si confonde appartenenza civica con cultura, accrescendo quel principio che ne è diretta derivazione e che si chiama nazionalismo.
Di fatto, anche se non per legge, Monia e chi come lei fa parte da anni della nostra società vivendovi in maniera costruttiva ed interagente, è Italiano; che poi abbia diversi costumi, religione, cucina … e tutto ciò che sta alla base di una cultura, è un altro discorso che non dovrebbe incidere sulla “coscienza collettiva”. Invece è così, e se ne vedono le tracce anche negli stessi immigrati di “seconda generazione” che di fatto non avvertono di essere Italiani cadendo a loro volta nella rete di una trappola ideologica consistente nel binomio forzato di “cultura=società”. Solo quando si smentirà questa errata equazione cesseranno di esistere il “noi e loro” e la legge, espressione della coscienza di un popolo, sarà automaticamente costretta ad aggiornarsi. Nel frattempo le principali autorità devono fare di tutto per agevolare il cambiamento di percezione generale, partendo dalla creazione ad hoc di misure giuridiche adatte a sostituire le attuali che non sono affatto razziste, bensì obsolete: lo ius sanguinis va rivisto in seguito alla trasformazione dell’Italia da paese di partenze ad uno di arrivi.
Così una delle sezioni più apprezzate e sviluppate dell’incontro è stata dedicata alla questione “cittadinanza”, con gli interventi di Anna Pitrone e Pietro Saitta, docenti del corso in Mediazione Culturale dell’Università di Messina avente sede proprio a Barcellona. Da Internazionalista la Prof. Pitrone ha fatto notare come la mancanza di attenzione alla problematica giuridica dello status di immigrato non sia soltanto italiana: sociologicamente l’intera Europa non è preparata alla gestione di una risorsa umana che i dati Caritas confermano essere preziosa. L’imprenditorialità tra le comunità straniere residenti in Italia è elevatissima, frutto di una maggiore capacità di azzardare. Le imprese italiane calano in seguito ad una crisi che si fa più forte ma che certo non dipende dalla presenza degli immigrati: i settori più in perdita a volte non sono neppure trattati dagli stranieri residenti sul nostro territorio. Di qui la conseguenza che l’origine della crisi sia da rintracciarsi altrove, magari in leggi economiche fallimentari varate con troppa facilità negli anni a noi precedenti.
A tal riguardo i dati parlano chiaro: nel 2011 la spesa per il mantenimento della popolazione immigrata regolare è stata inferiore al prodotto interno da essa stessa generato tra tasse, contributi, iscrizioni, attività sindacali e quant’altro. Il reale problema è il sommerso che è sempre stato la “buccia di banana” dell’economia e della società italiane: anche prima dell’arrivo degli immigrati non si è mai cercato di aiutare il lavoratore in nero costretto a non pagare le tasse perché messo di fronte all’alternativa di lavorare sfruttato per poco oppure denunciare la propria situazione perdendo anche quel misero contributo utile a sopravvivere. Dei lavoratori dipendenti in nero, molti dei quali caduti in depressione per la consapevolezza di non produrre utile allo Stato, non ci si è mai occupati veramente in Italia. L’unico modo sarebbe stato e sarebbe (con attenzione sia agli stranieri che agli Italiani dotati di cittadinanza) cercare e scovare coloro che ne sono responsabili: i proprietari degli esercizi nei quali molte volte si lavora senza contratto. Perchè si sa, i problemi irrisolti del passato tornano ingigantiti nel presente: l’immigrato irregolare (perché senza contratto spesso si è un clandestino) ha un ulteriore motivo per non dichiararsi e le tasse non potrà mai pagarle perché il suo datore, spesso italiano, è il primo a non fare il proprio dovere di contribuente.
Di leggi per l’emersione del lavoro straniero non dichiarato ve ne sono state soltanto due nel nostro paese, nel 2009 e nel 2012. Ed a conferma del fatto che il delicato fenomeno andrebbe trattato da vere e proprie equipe composte da persone con molteplici competenze, l’anno scorso la legge è stata un vergognoso flop: vi sono state ben poche tutele per il lavoratore che di fatto avrebbe dovuto denunciare la propria condizione di dipendente senza nessuna garanzia circa il poter mantenere il lavoro.
Grazie ai vari interventi, coordinati dal giornalista Antonio Tavilla, si è potuto avere un quadro chiaro anche della nostra provincia: il messinese è terzo per presenza straniera in Sicilia, e se nel Comune dello Stretto essa costituisce il 4% del totale le cifre crescono man mano che si va in provincia. La stessa Barcellona è multiculturale per il 5% ed in altre realtà più piccole, a rischio spopolamento, vi sono dati ancora più alti. Di qui la decisione di spostare, per la prima volta, la sede della presentazione in provincia.
Caritas e Migrantes ogni anno realizzano un monitoraggio che diventa punto di partenza per chi possiede strumenti utili a costruire stabili ponti di collegamento tra realtà di per sé già in contatto. L’importante, trattandosi di persone, è agevolare giuridicamente, socialmente e sociologicamente quell’ interazione indispensabile alla più sana trasformazione di una società già in fieri. Tra i presenti molte le personalità istituzionali e religiose: il Sindaco di Barcellona Maria Teresa Collica, Don Tindaro Iannello vicario di San Sebastiano, Mons. Carmelo Lupò vicario generale dell’Arcidiocesi di Messina, ed i Dott. Antonino Gullì e Giuseppe Crisafulli in rappresentanza del Prefetto Stefano Trotta e del Presidente della Provincia Giovanni Ricevuto. Centrali, per disposizione e valore, la relazione del Diacono Santino Tornesi (direttore dell’ufficio diocesano Migrantes) cui è spettato il compito di riassumere in una ventina di slide le cinquecento pagine del rapporto, ed il reportage “diversamente italiani” di Luigi Siracusa consistente in collage di validi esempi barcellonesi di interazione. Adesso, come ogni anno, sarebbe auspicabile sfruttare al meglio conoscenze fornite dal lavoro e dallo studio di decine di persone impegnate in ogni campo del sociale. (CARMEN MERLINO)