di Palmira Mancuso – Le ultime dichiarazioni della sottosegretaria al Ministero dei Trasporti Simona Vicari, indagata per un Rolex nell’ambito dell’inchiesta sulla corruzione elettorale nei trasporti marittimi, farebbero ridere a crepapelle se non ci portassero a pensare che esista una classe dirigente pronta a sciogliersi di fronte ad un orologio.
Qualcosa di tragicamente buffo, come vedere un adulto alla stregua di un bambino che “beccato” dalla maestra all’asilo, si difende attaccando i compagnetti di gioco. Così la sottosegretaria che è sempre rimasta al suo posto mentre i governi cambiavano (prima Letta, poi Renzi e fino a Gentiloni) rivendica sul Corriere della Sera che per lei è normale ricevere a Natale un Rolex da 5.800 euro da un armatore che, grazie al suo interessamento per far passare una legge vantaggiosa, ha risparmiato ben 7 milioni di Iva.
Dal suo punto di vista (che non è quello dei magistrati) nulla da eccepire, se non per il buon gusto. Che non riguarda l’oggetto, ma soprattutto il ditino puntato e un messaggio che solo chi sa può capire: “Ci sono ministri che hanno preso non uno ma tre Rolex e sono ancora in carica”.
Spiegare alla gente comune, che magari l’ora (quando ha tempo) la guarda dal cellulare, che un orologio può ancora valere una carriera, la credibilità o semplicemente “la faccia” è davvero difficile. Più comprensibile è certamente la vicenda del padre disposto a umiliare la propria divisa per “sistemare” la figlia: una di quelle inclinazioni dell’animo umano, che il potere conosce benissimo e usa da secoli per controllare la società, in quella stretta connessione tra bisogno e diritto che ha sancito l’impoverimento economico e culturale di ogni classe sociale.
In tutta la vicenda Mare Nostrum, tuttavia, c’è ben poco da sorridere. Ma anche ben poco di cui sorprendersi, giacchè la corruzione è un male vecchio quanto l’uomo. E’ quel serpente che ti ritrovi anche nel bel mezzo del paradiso terrestre. Da cui continuare a prendere le distanze evitando che ti morda, giusto per non farti avvelenare se proprio non riesci a schiacciarlo perchè in fondo lo ritieni un elemento della natura.
Un moto perpetuo che, esso si, trova la perfezione nell’orologio tanto ambito, metafora perfetta di interni meccanismi complessi persino all’animo umano.
Restano invece sorprendenti i tempi di una giustizia ad orologeria, questa si, che sopperisce suo malgrado alla politica incapace di esprimere moralità e austerità, vanitosa e per questo facile da adulare, fino a creare quella dipendenza che poi si scambia per confidenza, se non addirittura per amicizia. Tutti vogliono essere amici di tutti: politici, giornalisti, imprenditori, magistrati, sindacalisti, avvocati. E sarebbe un mondo perfetto se le relazioni tra persone non fossero “ad orologeria”, se gli equilibri tra poteri fossero regolati da altro che non sia il potere stesso nella sua irrefrenabile voracità.
E se quanto è più grande il potere, tanto più pericoloso l’abuso… tic tac, tic tac (@Pal.Ma.)