Brutti presagi, agitano i piani più alti delle nostre forze armate. «Ad altri toccheranno sfide che alla mia generazioni sono state risparmiate», dice il generale Marco Bertolini lasciando il servizio dopo 44 anni, evocando scenari di guerra. E nel dire Bertolini non si commuove, anzi. La voce gli si fa di ghiaccio.
«La storia si è rimessa in movimento. Non fronteggiamo soltanto quattro organizzazioni malavitose, come piace pensare alla nostra opinione pubblica. Qualcuno pensa che le nostre forze armate siano un oggetto inutile. Invece c’è bisogno di investire ancora, se vogliamo governare un futuro difficile e drammatico».Nel grande hangar pavesato a festa, ospiti del Centro operativo interforze, c’è il più assoluto silenzio per il giorno dell’addio di Bertolini.
Da quattro anni è il responsabile delle nostre missioni all’estero e ad ascoltarlo è arrivato il parterre delle grandi occasioni. Un centinaio tra generali, ammiragli, colonnelli che al termine dell’intervento lo applaudiranno forsennatamente. Non un solo politico. C’è invece il capo di stato maggiore della Difesa, il generale Claudio Graziano, per questa cerimonia di avvicendamento che porta alla guida del Coi un ammiraglio, Giuseppe Cavo Dragone.Non potrebbe essere altrimenti.
Bertolini è infatti una leggenda vivente delle nostre forze armate: quintessenza del paracadutista incursore, non s’è negato un conflitto, dal Libano (dove nel 1982 fu ferito ed ebbe una medaglia d’oro) in poi. Somalia, Balcani, Afghanistan, sempre in prima fila.
Un uomo d’azione e di grande carisma, di quelli che piacciono ad americani e inglesi, che infatti scelsero lui, parà italiano, come capo di stato maggiore della missione in Afghanistan nel 2008 nel momento di massimo urto dei taleban.
Uno che ama parlare chiaro e mai a caso. «Guardiamo a quanto accade fuori dai nostri confini con più rispetto. Osserviamo la vera realtà, non quella delle fiction di prima serata o di alcuni superficialissimi talk-show».
Sulla sua scrivania si accavallano le notizie dai teatri dove sono schierati i nostri, in Afghanistan, in Iraq, in Libano, nei Balcani, nel Mediterraneo, che non inducono ad alcun ottimismo. «In Italia ci ostiniamo a voler credere di vivere nel migliore dei mondi possibili.
Non è così».Se lo amano tanto, i militari, è anche perché Bertolini non ha mai avuto paura, né delle pallottole, né delle parole.
Nel 1997, rimbrottò Beniamino Andreatta che lamentava l’omertà tra i paracadutisti: «È un termine che non mi piace. Normalmente si usa per altri ambienti e altre occasioni».
Due anni dopo, capo di stato maggiore del contingente Nato destinato a entrare in Kosovo dalla Macedonia, disse che i raid erano «inutili» e Massimo D’Alema volle la sua testa. Passato qualche anno, troppo bravo per vedersi troncare la carriera, zittì un altro premier di nome Silvio Berlusconi che ironizzava sui militari in Afghanistan a guardia del deserto dei tartari.
Bertolini scrisse una lettera: «Scrivo, amareggiato, dall’avamposto della Fortezza Bastiani…».Ieri il discorso di commiato. Nient’affatto incoraggiante. Il generale Graziano lo ha ringraziato calorosamente: «Sei stato parte della storia delle Forze Armate e spesso ne sei stato interprete principale». (@G.Pensavalle)