di Simone Bertuccio – Ma a Messina perché si fanno le cose a metà?
È questa la domanda che mi sono fatto per circa venti volte due giorni fa. E me ne sono fatte di simili altri cinque giorni fa quando, in città, ho visto lavori effettuati su strutture pubbliche, manti stradali, segnaletica stradale, e quanto altro. In pratica, traendo una risultante, un cittadino messinese passa più tempo a porsi domande di quante possa farsene uno studente universitario di filosofia, che di filosofia non ha mai studiato nulla, al secondo anno di studi accademici.
Ma a Messina perché si fanno le cose a metà? La domanda potrebbe anche essere posta anche in modo diverso: perché a Messina si fanno le cose male? Ma proprio male male.
Avevo un professore di Elettrotecnica, durante i miei studi all’Istituto Industriale “Verona Trento”, che una volta prese in giro – e ne aveva tutte le ragioni – un suo studente. Questo ragazzo, per scusarsi del ritardo con cui si era presentato alla prima ora – e, ovviamente, mentendo –, s’inventò una storia degna del miglior MacGyver. Disse che il mezzo a due ruote lo aveva lasciato a piedi e che lui, per non perdere l’intera giornata di scuola e per salvare il salvabile, si era armato di buona lena e, servendosi di alcuni cavi che componevano il circuito elettrico, aveva “aggiustato” il problema meccanico che gli si era presentato. Ora, indipendentemente dalla veridicità dell’operazione effettuata dal suddetto ragazzo, indipendentemente dalla sua fantasia e indipendentemente dal fatto che quella mattina si prospettassero due ore di interrogazioni no-stop, il mio Professore – ché, guai a chiamarlo tale, lui voleva essere chiamato “Ingegnere” –, che scemo non era e riusciva a guardare sempre oltre le bugie che gli venivano raccontate, non si soffermò sulla cavolata in sé, quanto sull’insensatezza della scelta che aveva portato il ragazzo a raccontargli proprio quella scusa. Con tono severo ma con una fermezza ed un eleganza stile Franco Baresi, gli rispose: «Ma tu, per aggiustare una cosa, ne rovini un’altra?». Silenzio, sguardo, sorriso, scacco matto.
Il problema in questa città – che ne raccoglie tanti, è un po’ come il concetto matematico degli “Insiemi” – è che la realizzazione di qualcosa non riguarda sempre e solo una sostituzione, una riparazione, un aggiornamento, ma anche una operazione nuova, senza precedenti. Potremmo fare un bellissimo esempio: la nuova pista ciclabile, con annesso passaggio pedonale, della litoranea Nord di Messina. Bella idea, un bellissimo e nuovo affaccio sul mare, utile. Ma se iniziassi ad elencare tutte quelle cose che, a mio avviso, dal punto di vista progettuale risulterebbero strane anche ad un bambino di due anni, sfrutterei questo spazio per un motivo che non è quello per cui oggi ho iniziato a scrivere questo pezzo. Questo è solo uno dei tantissimi esempi ma ho, in poche battute, preferito questo perché si tratta di una “realizzazione” nuova, come raramente se ne vedono a Messina e già solo per questo credo abbisognasse di un po’ d’attenzione in più. Forse è mancanza d’esperienza, o mancanza di voglia di lavorare per bene, o mancanza di quelle direttive utili affinché un lavoro venga fatto in modo certosino, altresì detto in modo tecnico, “A regola d’arte”.
Tutto ciò accade perché non ci si spinge oltre. Ritornando indietro, se il mio Professore/Ingegnere avesse risposto semplicemente che quella scusa fosse troppo assurda per essere vera, sarebbe stato stupido anche lui nel sottolineare un qualcosa che non aveva bisogno d’essere messa a nudo affinché ci si accorgesse della poca veridicità. Lui andò oltre. Ecco, in qualunque operazione a Messina, “Oltre” non si va mai. C’è, per esempio, da riparare alcuni passamano di una balconata pubblica? I passamano si riparano ma se vi si presenta un’anomalia in un passamano quasi coincidente a questo ma non facente parte della balconata, viene lasciato lì. Io non so sinceramente da cosa dipenda ma credo ci sia – e possiamo notarlo ad occhio nudo per le vie della città – un grandissimo problema organizzativo/progettuale rispetto alla coordinazione dei lavori pubblici.
Ma non è di questo che volevo parlavi oggi.
Volevo parlavi della Statale 114. Chiunque l’abbia percorsa da qualche settimana si sarà accorto che, dall’altezza di Briga Marina fino alla località Tremestieri, direzione Sud-Nord, l’intero manto stradale della corsia è attraversato in superficie da un’ampia e pericolosissima quanto indecorosa striscia di pece che sarà servita per coprire gli scavi successivi a dei probabili lavori — il passaggio della fibra ottica? —. L’intero tratto è lungo circa otto o nove chilometri ma basta percorrerlo in auto per rendersi conto di quanto assurdo sia che dei lavori vengano effettuati in questo modo. Un tratto di strada, questo, che, di per sé, non risultava essere particolarmente rovinato ma che rovinato lo è diventato per coprire gli scavi dovuti ad alcuni lavori che, a loro volta sono serviti per l’allaccio della fibra ottica o, chissà, un allaccio elettrico, o altri tipi di collegamenti o tubazioni. Stiamo parlando di otto, nove chilometri di corsia liberamente praticabile da auto, ciclomotori, motocicli e biciclette, che durante l’incedere devono decidere se stare, o all’estrema destra – in prossimità della corsia d’emergenza –, o a ridosso dell’estrema sinistra – in prossimità della doppia linea tratteggiata col rischio di incrociare pericolosamente altri mezzi –. Fatto sta che non è più possibile percorrere la strada in modo sicuro e regolare. E non importa che i mezzi abbiano più o meno le sospensioni in ottime condizioni; ci si sente come se ci si trovasse in quei campetti estivi in cui si giocava a palla con la saponata per terra – pericolosissimi, appunto –.
E quindi è proprio successo questo: per riparare qualcosa ne è stata rovinata un’altra. Completamente rovinata. E fa una rabbia tremenda pensare che nessuno dei Dirigenti comunali, o supervisori di tali compiti o, ancora, Presidente di Circoscrizione, si siano resi conto di tale obbrobrio. Fa rabbia pensare che forse tutto resterà così. Che una strada, inizialmente percorribile al netto di qualche imperfezione, adesso è diventata come fosse stata sotto effetto di bombardamenti. E, badate bene, qui non si tratta mica di un piccolo lavoretto, né per quanto riguarda la larghezza della riparazione effettuata né, ripeto, per la lunghezza del tragitto che la interessa.
Per me tutto questo è una grande offesa perché mi sento un po’ preso in giro. Perché so bene che tutto questo viene fatto perché si pensa che “Così deve bastare”. No, così non deve bastare proprio nulla perché adesso ci sarebbe davvero da riasfaltare l’intero tratto della Statale, per le condizioni in cui si trova adesso. Sarò forse pure drastico ma vi consiglio di farci un salto.
Non riesco a capire perché tutto funzioni così, perché nessuno parli. Ma questi lavori chi li coordina? Come li coordina? E cosa ne pensa del suo lavoro di coordinamento? Ci sarà pure un motivo perché i lavori siano stati effettuati così; perché sia stato questo il risultato. Quale sarà? Le condizioni climatiche? Il terreno sotto cui preme la pece appena posata che è a rischio cedimento? Io sinceramente vorrei saperlo.
Vorrei sapere perché tutto non va mai come deve andare. Vorrei sapere perché qui i termini “Aggiornamento”, “Riparazione”, “Messa in sicurezza”, corrispondano a termini e modi di dire come “Tappezzare”, “Alla meno peggio”, “Metterci una pezza”…
Il nome di questa rubrica, oggi, è quanto mai più coerente con l’argomento che viene trattato. “Ad minchiam”, appunto. Tuttavia risulta essere fin troppo buono e sinceramente non avrei mai creduto che l’asticella dell’incredulità, ancora una volta, bisognasse alzarla.
Vorrò approfondire la questione.
Qui si tratta di lavori indecenti.