Giri di valzer, piroette, svolazzi disinvolti da parte del governo Monti sul Ponte di Messina. Il tutto perché si possano continuare a buttare soldi pubblici nelle fauci delle lobby di interesse economico finanziario. Sino a implementare il costo di quest’opera parlata che fino a oggi si aggira sui 400 milioni di euro.
Vediamone la varie tappe. Il 20 gennaio 20012 il governo Monti definanzia il ponte. Pietro Ciucci, amministratore della “Stretto di Messina” che sull’opera ha vissuto i suoi ultimi vent’anni, preannuncia ricorso al Capo dello Stato per sottolineare l’illegittimità del taglio di 1,6 miliardi operato dal Cipe. A stretto giro, il Ministro Clini ( 16 luglio) riattiva la commissione per fornire il ponte della Valutazione di Impatto Ambientale, rispetto alla quale il Gruppo di Lavoro composto da esperti di caratura nazionale aveva sottolineato una messe di incongruenze. Indi il Ministro delle Infrastrutture, Corrado Passera, supportato dal sottosegretario Ciancia, indice una Conferenza dei servizi cui invita 66 personalità legate in qualche maniera al grande manufatto. In tale contesto Passera e Clini, con un moto disinvolto e soprattutto contraddicendo se stessi, riavviano le procedure per la realizzazione del ponte. Scattano i comunicati di vivace protesta da parte di Fai, Wwf, Italia nostra, Legambiente.
Immediatamente il ministro Clini si affretta a fare marcia indietro: “Dobbiamo seguire l’iter previsto dalla legge ma il governo non ha intenzione di riaprire il dossier del ponte sullo Stretto di Messina”. Che, decodificato, significa: nessuno ha intenzione di realizzare il Ponte, ci basta soltanto mettere in condizioni l’Eurolink di lucrarci la penale. A quanto ammonta la penale? Come nel mondo dei vu’ cumprà, si mercanteggia. In prima battuta si chiedono 800 milioni, poi si scende a 400. Ora siamo alle “briciole”, 250 milioni e non si parlerà più d Ponte. (ADELE FORTINO)