#russomanondormo – la città a pecorina

di Alessandro Russo – C’è tutto il fallimento sociale, culturale e soprattutto politico dell’ultimo ventennio di Messina, nelle desolanti vicende di “Matassa”.

Non si spiegherebbero altrimenti la spregiudicatezza e lo sprezzo di considerazioni  che vorrebbero gli elettori piegati “a pecorina” o a “correre di più” per inseguire, ogni tre mesi, rinnovi di contratti di lavoro utili solo a produrre consenso e clientela.

C’è il disperato mare del bisogno, è vero. Un mare nel quale la politica pesca da decenni, calando in acqua esche della disperazione più abietta: buoni benzina, pacchi di pasta, sacchi della spesa.  Si legge in giro – e questa voglia di attenuare le responsabilità di certa politica è da restar sbigottiti – che in questa vicenda non solo la politica ha colpe ma anche i cittadini, che si prestano a vendere il proprio voto per dei pacchi di spaghetti nr. 11. In un salotto pomeridiano davanti ad un tè e  pasticcini di una pasticceria del centro, l’argomentazione avrebbe anche una sua fascinazione: per strada, nelle periferie, nel mare immenso della disgrazia economica di questa città – una immensa landa di povertà e disperazione che la politica cittadina non solo non ha combattuto per anni, ma che ha sapientemente alimentato –  un mercato indecoroso mette in relazione la domanda di voti della cattiva politica e la relativa offerta da parte del cittadino indifferente e imbarbarito. Come a dire, non tanto o non solo colpa della politica, ma sistema di diffuso mercimonio che accomuna tutti, abbattendo le responsabilità morali, a partire dai cittadini che si ostinerebbero a non comprendere come in democrazia quel tratto di matita che svendono per un pacco di pasta non avrebbe prezzo e come invece potrebbe mettere con le spalle al muro coloro i quali vogliono sfamarli di tre mesi in tre mesi.

Ci piacerebbe che potesse essere così; se non altro per rassicurare le nostre coscienze dinanzi al fallimento di una comunità. Ci piacerebbe poter prendercela anche con chi svende cinicamente il suo voto perché “non capace di capirne” il peso in democrazia. Avremmo la coscienza più alleggerita ma a che prezzo?

Consiglio vivamente di uscire dai salotti e di rinviare i tè del pomeriggio per immergersi nella città vera, percorrerne le strade periferiche, aggirarsi per i rioni popolari. Si conoscerebbero realtà che fanno fatica ad essere comprese nei sociologismi. Arrivare a concepirsi “a pecorina” nei confronti di una politica vorace, concepire solo per un momento il proprio voto come voucher di sussistenza alimentare, mettersi a inseguire il miraggio di un contratto trimestrale o di un buono della spesa per sbarcare la fame di un paio di giorni, in sostanza, il livello di povertà e di disagio in cui la stessa natura umana è negata e con essa la sua dignità: bisogna conoscere tutto questo, vederlo coi propri occhi, ascoltare dalla viva voce di chi si appiglia a questo o a quell’altro consigliere comunale nella speranza di uscire prima o poi dalla baracca, bisogna conoscere tutto questo, prima di sparare nel mucchio della generalizzazione di comodo.

E non solo questo.

La responsabilità non è condivisa. E’ la politica che deve guidare una comunità. Ed è  stata la politica di questa città a costruire e contribuire a mantenere intatto un ordine basato sulla necessità disperata di ampie fasce di messinesi, non soltanto le più povere. Negli anni, ha perso ogni occasione di immaginare una vocazione di sviluppo che potesse dare una direttrice su cui far crescere la città. Avviluppata per decenni in mera gestione del potere, in assalti alla diligenza mirati esclusivamente alla spartizione delle spoglie successive, la politica messinese ha costruito un modello di sopravvivenza indegna, mirando espressamente al mantenimento dello stato di bisogno, all’ostacolo nei confronti di qualsiasi tentativo di formulare una visione di sviluppo – dettata sia dall’incapacità di elaborare concetti e idee in linea con la contemporaneità che persino di scopiazzare esempi virtuosi attorno a noi.

Possiamo pure dirlo: la politica messinese di questi venti anni ha perseguito come unico modello per la città  il suo completo sottosviluppo, la sua sudditanza psicologica e di bisogno che, fatta salva qualche rarissima eccezione, si è eretto sul comparaggio, sulla delega al potente consigliere di turno, sulla vicinanza a questo o quel deputato-taumaturgo: il tutto ripagato con un ventaglio di elargizioni che trasversalmente attraversano i ceti sociali della città. Dalla nomina in consigli di amministrazione alle consulenze ben retribuite, agli appalti assegnati alle cooperative amiche e, scendendo fin alla base della piramide del sottosviluppo, fino ad arrivare ai pacchi di pasta, alla busta della spesa: non è solo il poveraccio a doversi mettere “a pecorina”. No, è la città che è messa “a “pecorina” dinanzi ad una politica che l’ha voluta e la vuole così.

Questo significa iniziare a comprendere che il sottosviluppo non riguarda solo le periferie, non solo i “poveracci” che “non capiscono” il valore del voto. No: questo impone di prendere atto che a Messina, da venti e più anni, la politica ha ricercato le condizioni migliori per stritolare ogni possibilità di futuro e di emancipazione. Il consenso si compra, le coscienze pure.

Quindi, no. Non mi meraviglia lo schifo che si legge in questi giorni.  Non mi meraviglia perché non bisogna essere dei Pasolini per poter dire che queste cose “si sapevano”.

Non sono i pacchi di pasta a indignarmi. Né la gente messa “a pecorina”. No, chiaro che ciò mi disgusta, ma non m’indigna.  Ciò che davvero mi indigna è il non vedere come la politica di questa città ne ha corrotto la sua stessa dignità, è penetrata nei suoi tessuti succhiandone linfa solo per perpetuarsi nei decenni, comprando uomini e cose, gente comune e professionisti, attraendo nella metastasi pezzi sempre più importanti della città, creando un “blocco del bisogno” che deve resistere a se stesso per sopravvivere.

In questo scenario, ogni futuro è impossibile. Del resto: quando si parla per ventenni di sbaraccamento e riqualificazione, di recupero del waterfront, di turismo o di ponte sullo Stretto, e quando per venti anni le stesse classi dirigenti si avvicendano tra loro senza smuovere un sassolino nei cantieri di periferia, senza aprire uno spazietto di recupero a mare, disperdendo risorse milionarie senza realizzare neppure i progetti utili ad uno straccio di idea del futuro di Messina, quando la politica per venti anni si riduce a questo – salvo tornare di tanto in tanto rinverginata nei momenti di crisi riproponendo improvvisamente classi di governo che in città sono state al potere per anni – ecco, quando dopo venti anni ciò che doveva essere cambiato è sempre uguale a se stesso, basato sul pacco di pasta e sulla busta della spesa, credo che si debba prendere coscienza della necessità assoluta di cambiare profondamente.

La politica degli scorsi venti anni ha fallito. Le classi dirigenti di questa città l’hanno impoverita, resa succube di dinamiche di gestione del potere incivili e feudali. E’ bene capirlo, è bene definitivamente prenderne atto. O si cambia, o si muore. Non abbiamo altri appelli.

Non ho ricette in tasca e personalmente credo fortemente che la politica di Messina debba essere rigenerata, ripartendo dalle nuove leve, dalle nuove generazioni, da chi forse ha minore esperienza e potrà sbagliare ma che ha la voglia di dimostrare le proprie capacità, da chi studia e viaggia per il mondo e desidera importare il meglio delle proprie esperienze a Messina, da chi non si è mai messo “a pecorina” perché ha conosciuto l’importanza della  dignità, sopra ogni altra cosa.  Non so se questa è la strada giusta, ma sono certo che a Messina serva una nuova classe dirigente, che punti sul rischio e sull’incoscienza, che non abbia paura delle sue forze più giovani, che non sia prodotto di un ventennio di degrado e di scarsezza.

Messina deve smantellare l’immenso apparato di bisogno che l’ha messa “a pecorina”: e questo non può farlo chi per decenni lo ha costruito, no. Adesso, serve la lucida follia e l’incoscienza di chi ne è stato sempre fuori.

 

Ho una sola certezza, oggi: se vogliamo uscirne vivi, ciò che abbiamo conosciuto finora deve finire per sempre.

 

Partecipa alla discussione. Commenta l'articolo su Messinaora.it