Un funerale senza bara. Prima una messa nella chiesa di San Luigi, poi il corteo che ha sostato dinanzi al carcere di Gazzi, col suo seguito di botti e il rumore dei clacson degli scooter. Un corteo rumoroso, per urlare da che parte si sta, per farsi ben udire fino a quella cella dove il padrino di Giuseppe De Francesco piange la sua morte.
La via Catania è rimasta bloccata per la presenza di diversi ragazzi, maschi e femmine, che hanno percorso la strada laterale del carcere.
Quanto accaduto ieri a Camaro, è l’ennesimo segnale che l’omicidio di Giuseppe De Francesco è maturato in un contorno mafioso, quello che gli inquirenti stanno ricostruendo, nonostante il muro di omertà che rende difficile chiudere il cerchio sui colpevoli.
Il Questore ha vietato i funerali pubblici, ma l’omaggio al figlioccio di Giovanni Tortorella, elemento di spicco della criminalità organizzata della zona sud, era un “dovere” in un rione dove la tensione è altissima e il rischio di un escalation di sangue appare verosimile.
I giovani e giovanissimi che gridavano “giustizia” indossando una maglietta rossa con stampata la faccia di Giuseppe, che si presentava come Tortorella, attuale compagno della madre, di che giustizia parlano?
Di certo questa uccisione ha aperto ferite coinvolgendo interi nuclei familiari più o meno legati alla vittima o a chi gli ha sparato.
Per andare a visitare la salma, a Tortorella nei giorni scorsi sono state concesse due ore, in cui ha lasciato il carcere di Gazzi, dove è entrato cinque giorni prima del delitto, a seguito della sentenza definitiva emessa nell’ambito del processo scaturito dalla operazione “Case basse”, la retata del 2009 che colpì i clan della zona sud.
Intanto sul fronte delle indagini, le prossime ore potrebbero essere cruciali. (@Pal.Ma.)