di Antonio Mazzeo – “A valle della via Don Blasco è prevista la vera rivoluzione dell’affaccio a mare, attraverso la pianificazione del Piau Porti&Stazioni. Di recente l’amministrazione Accorinti ha presentato l’ultima versione del Piau, che include due ipotesi: una col porticciolo turistico, l’altra senza. Un porticciolo che appare molto ambizioso, perché di fatto scavato nell’attuale zona demaniale. E poi strutture ricettive, alberghiere di lusso, un’area destinata al tempo libero, serale e giornaliero, con stabilimenti balneari e concessioni di breve durata, tra i 5 e i 10 anni. Insomma, quello che la Accorinti e soci non vogliono nella Falce, porticciolo e alberghi, lo prevedono nel Piau, qualche chilometro più a sud, a Maregrosso. Insieme ad aree a verde, piazze, passeggiate pedonali, poli commerciali, ristoranti, lidi e spiagge attrezzate”.
Ancora una volta è dalla Gazzetta del Sud del gruppo imprenditoriale-finanziario Bonino-Pulejo (articolo pubblicato nell’edizione del 5 febbraio 2015) che i messinesi devono apprendere la visione urbanistica strategica della Messina del XXI secolo (quella reale, non certo quella veicolata dai patetici proclami “ambientalisti” del sindaco Renato Accorinti).
Un’orgia del cemento e del cattivo gusto a beneficio dei soliti gruppi di speculatori e affaristi peloritani e non, riedizione aggiornata e “politicamente corretta” (il neoliberismo ha appreso perfettamente i linguaggi verdi e modernisti) dei progetti della borghesia mafiosa che per decenni ha tentato di spolpare cantieri, porti e stazioni per riconvertirli in megatorri, residence e infrastrutture alberghiere, palacongressi e parchi commerciali. Unica novità, il farli un po’ più in là, dalla zona falcata a Maregrosso, utilizzando come testa d’ariete una nuova arteria stradale di “risanamento” (così come fu la strada panoramica per la cementificazione selvaggia delle colline della zona nord sino a Capo Peloro e Mortelle).
Senza attendere il mercoledì delle ceneri, in pieno carnevale, l’amministrazione Accorinti si è tolta definitivamente la maschera.
Tra qualche mese, quando i consiglieri comunali che hanno votato tutto quanto è stato proposto-imposto loro dalla Giunta decideranno di togliere la spina alla rivoluzionaria esperienza dal basso a cui in tanti abbiamo lavorato e creduto, quello che resterà di questa infausta esperienza in termini urbanistico-territoriali sarà il Piau di Maregrosso, l’abdicazione sulla Zona Falcata ai furbastri vecchi e nuovi dell’imprenditoria e della politica locale, il disastro ambientale e finanziario del porto di Tremestieri, la (ex) fiera regalata ai manager delle crociere e del turismo mordi, distruggi e fuggi con tanto di (presunto) progetto di ingegneri israeliani e misteriosi finanziari arabi, la riesumazione della devastante Disneyland di Capo Peloro a firma dello studio dell’ingegnere-assessore Sergio De Cola, esempio in salsa messinese di dottor Jekill e mister Hyde, dal conflitto d’interessi così palese da far arrossire per l’imbarazzo anche qualche suo collega d’amministrazione.
Per chissà quale cattivo scherzo del destino, la farsa “ambientalista” di Accorinti, de Cola & C. è stata (rap)presentata sul quotidiano peloritano, lo stesso giorno in cui le autorità a presidio dell’ordine pubblico e sociale hanno notificato il decreto di sgombero agli occupanti dell’ex scuola “Foscolo” (di proprietà dell’amministrazione comunale) e dell’ex caserma dei CC di San Leone (di proprietà di una delle famiglie più potenti della borghesia locale, dalle altolocate origini ispaniche e dalle più recenti simpatie franchiste).
Due esperienze coraggiose di riaffermazione dal basso del diritto alla casa e all’abitazione dignitosa per tutti, diritto negato ai più nella città post-terremoto dal pubblico e di privati, nonché nel caso della ex Foscolo – grazie al Collettivo dei compagni del Pinelli – della realizzazione di un centro sociale di aggregazione giovanile, dove sono stati sperimentati importanti percorsi di educazione popolare-culturale-sportiva autogestiti.
Il Potere, quello vero, ricorda a tutti che non può esserci spazio per l’antagonismo e la lotta al neoliberismo nelle città-metropoli dei water front e dei grattacieli a specchio. Ripensare l’urbano, per gli ingegneri e i progettisti del terzo millennio, è annientare differenze e diversità, uniformare Tokyo a New York, Kinshasa a Helsinki, Messina a Beirut. Ma anche a Tokyo, New York, Kinshasa, Helsinki, Beirut e Messina ci sono e ci saranno donne e uomini che gli spazi di resistenza se li riprenderanno lo stesso.