”L’iniziativa non parte dalla Chiesa palermitana ne’ da settori pastorali attraverso i quali essa promuove la sua missione nel territorio, ma da un gruppo di laici e da qualche presbitero”.
Una precisazione breve ma dai tanti sottintesi quella giunta poche ore fa dalla Curia di Palermo riguardo la nascita della lista/movimento “Uomini nuovi per una società di uguali e partecipi”, già registrato presso un notaio e quindi valido a tutti gli effetti di legge. Per la legge appunto, perché l’iniziativa di Padre Felice Lupo, parroco di Sant’Eugenio Papa a Palermo, non può non essere vagliata anche dalla Chiesa. Infatti per quanto sicuramente i propositi del parroco possano sembrare a lui (ed a chi lo segue) dettati da “buona fede”, chi un po’conosce la storia della Chiesa ha visto da subito inevitabile l’arrivo di una dichiarazione dalle alte sfere dell’istituzione che nei secoli ha conosciuto momenti bui per i passati coinvolgimenti politici.
Non è mai stata – chi lo ha studiato lo sa bene – una questione di fede. Molti uomini dal credo fortissimo ed irreprensibile hanno a lungo gridato contro una qualsiasi forma di stretto legame tra potere temporale e potere spirituale al di là della necessaria, invece, assistenza morale ai politici di turno, uomini fallaci come tutti gli altri e maggiormente a rischio per il contatto con un acido corrosivo chiamato “Potere”. Un acido che pare far paura ancora oggi alla Chiesa, ed a ben donde dato che in duemila anni ne ha fatte di esperienze sul campo.
Riguardo l’iniziativa palermitana c’è da immaginarsi dunque una serie di interrogazioni da parte dei vescovi e dei portavoce ecclesiastici, delle quali la brevissima nota sopra è solo la sentenza finale.
Volendo per un attimo pensare, giusto per provare a capire, al perché ogni volta che v’è un’iniziativa del genere arriva un “no” più o meno secco dall’alto, si può arrivare facilmente ad una risposta quasi ovvia: più che i possibili quanto improbabili incidenti diplomatici con la Stato Italiano, la Chiesa, struttura complessa e delicata, ha da valutare i rischi per la propria immagine, nonchè le pericolosissime ripercussioni stile “effetto domino” che anche un piccolo movimento locale di questo genere potrebbe avere su scala generale. Partiamo dalla questione immagine: che ne sarebbe del volto e della credibilità della Chiesa se ad un certo punto il “veleno potere” corrompendo una delle brave pecorelle della parrocchia di Don Lupo provocasse uno scandalo? Perché è questo il succo delle dichiarazioni del parroco: “I nomi – dei candidati – li sceglieremo insieme alla nostra comunità”. Un’affermazione che carica la Chiesa ( anche la più piccola delle parrocchie è comunque rappresentante dell’intero il cui cuore è a San Pietro) della gravosissima responsabilità di avere “scelto male” nel momento in cui dovesse saltare fuori anche l’uso improprio di un’auto blu.
L’opinione pubblica, sempre molto attenta agli operati dell’istituzione che predica loro la correttezza in tutti i campi, farebbe di un fuocherello un incendio di vaste proporzioni e tutto il mondo cattolico ne uscirebbe con grande imbarazzo. Andiamo invece a guardare la questione da una posizione più alta: vi sono moltissimi paesi in cui alle comunità cristiane è precluso ogni tipo di diritto politico, persino il voto. E non sorprende dopotutto, anzi è più che comprensibile, che lo si voglia ritenere giusto o meno: si tratta di paesi nei quali vige spesso uno stato, dichiarato o non, di teocrazia. Ovvero l’anima religiosa e quella politicamente attiva non sono per nulla scisse, e questo principio per il momento teniamolo bene a mente mettendovi un asterisco immaginario.
Risultato? Una fede diversa fa di colui che la professa una persona giuridica diversa, appartenente ad una comunità estranea a quella “principale”; quest’ultima non riconosce dunque alla prima il diritto di votare su questioni che interessano la maggioranza.
Dato che spesso in passato le comunità cristiane sparse in tutto il mondo, e soprattutto in queste realtà, si sono viste negare molti semplici diritti politici con la scusa (anche) di una “possibile ingerenza negli affari dello Stato” – dove lo Stato è la comunità principale – la dimostrazione, anche minima, di una possibile connessione tra fede cristiana e crescente attività politica causerebbe quasi certamente un freno ai decennali processi di rivendicazione che in molti di questi paesi stanno giungendo al termine, con sentenze ancora in via di emanazione o ancora instabili (vedasi ad esempio la Turchia nella quale si sta tentando di rivedere la costituzione per inserirvi clausole regolanti i rapporti con le comunità minori, religiose ed etniche).
Perché è proprio presso quelle culture dove il concetto pronunciato (con buoni intenti ) da Don Lupo – “Non ci può essere separazione all’interno dell’uomo fra componenti religiose e profane”(rivedere l’asterisco si prima) – è visto come una verità assoluta che si ha più paura di una rappresentanza politica “diversa” nel salotto in cui prima si parlava tutti la stessa lingua. Un rischio remoto? Forse ma non così impossibile. Infine v’è un qualcosa che non si è minimamente considerato in tutto ciò (complice forse il fatto che ci si trovi in Sicilia, terra nella quale la presenza e la professione della fede cristiana è meno intaccata dal secolarismo e quindi vista ancora come un elemento scontato): in Italia non esistono soltanto le parrocchie. Ovvero vi sono molte sinagoghe, comunità islamiche salde (la moschea è solo l’edificio nella quale i fedeli si riuniscono e non preclude l’esistenza stessa della comunità musulmana), nonché fedi minori spesso al loro interno numerose: cosa accadrebbe se, sull’esempio della piccola parrocchia di Sant’Eugenio Papa, tutte queste realtà pensassero di aprire “uffici di reclutamento” di buoni politici? Le aule politiche di qualsiasi grandezza rischierebbero di diventare palchi dai quali lanciare ognuno il proprio “buon” pensiero.
Perché è questo ad essere relativo: ognuno pensa di essere nel “buono e giusto” ma ciò che la cultura occidentale ha di bello è che vi si parla (grazie al “Cielo”) di Etica Laica e Religiosa come di due cose distinte. La seconda è riconducibile anche inconsciamente alla religione, mentre l’Etica Laica è la disciplina che prova a stabilire ciò che è corretto o lecito al di là di tutte le possibili controparti, su base razionale e non emotiva, nell’esercizio della propria libertà senza la lesione di quella altrui. Insomma ciò che “fa stare in pace tutti non dando ragione a nessuno se non alla pace stessa per la continua ricerca di un equilibrio” dicendolo in termini spicci. Invece la religione è continuo strumento (mosso da abili mani) di scontri verbali e non. Ed allora forse sarebbe il caso di ricordare proprio questo, invitando le persone con una buona etica laica a scendere in politica per fare il bene di tutti; a tal fine non c’è bisogno di esami e colloqui perchè bastano i soliti tentativi: buone prediche ed insegnamenti di base, perché la politica è un’arma a doppio taglio che spesso tutte le religioni, senza distinzioni, hanno dimostrato di non sapere impugnare in maniera adeguata.
Meglio, forse, che le fedi continuino ad essere la voce esterna pronta a dire al potente di turno “stai sbagliando” senza privarlo della scelta di riconoscere o meno la cosa; perché tutti possono sbagliare e sbagliano, soprattutto quando si agisce per impulso; in questo caso la responsabilità delle scelte sbagliate rimarrebbe tutta di colui che le ha fatte e che prima o poi ne risponderebbe ad ogni “suddito” in maniera strettamente personale.
Secondo la prima vera legge non scritta di quella Storia che la Chiesa conosce bene. (CARMEN MERLINO)