di Simone Bertuccio – Questo è un pezzo sulla rabbia. È anche un pezzo sulla dignità, sulla civiltà. È un pezzo sull’amarezza, sulla delusione, sulla pazienza. Sulla rassegnazione, sull’indignazione, sull’insofferenza. Sulla speranza. E sulla disillusione. Sull’ironia e sul sarcasmo. È un pezzo sull’amore ma è anche un pezzo sulle ferite lasciate da un amore. È un pezzo sulla tristezza e sulla voglia di ridere. Imperterrita. Di rinascita, imperterrita. 9 giorni senz’acqua, già. E chissà quanti altri. E chissà quando si ripeterà questa storia.
Perché si ripeterà, statene certi. E non scrivo questo perché, come al solito, mi appoggio alle Leggi di Murphy. No, oggi questo non c’entra. Scrivo questo perché, a poco a poco, se a Messina inizi a tener da parte i fatti, mettendoli insieme, raggruppandoli, ti verrà fuori la realtà. Devi avere pazienza però. Quella stessa pazienza che ci porta, ahimè troppo silenti, soventi ad accettare queste drammatiche situazioni.
Ci vuole tanta pazienza, ma neanche troppa. Perché basta aspettare poco per avere un’altra possibilità e capire perché qui a Messina dilaghi un’incompetenza quasi spiazzante. Disarmante. 9 giorni senz’acqua, già. E gli altri giorni? I mesi passati? Gli anni passati? Se riuscissimo a mettere insieme tutti quei periodi in cui a Messina s’è sofferta la sete, la pulizia, la civiltà, credo proprio che metteremmo insieme più di qualche mese. Roba da terzo mondo. Non me ne vogliate. Anche se la più giusta terminologia da usare sarebbe “Paese in via di sviluppo”.
Secondo i libri, forse. Secondo gli storici, sociologi. La troppa compostezza ha arginato il desiderio di rivolta. Che è tra i princìpi fondanti di questa nostra Costituzione, della nostra Repubblica.
Non sono Erri De Luca ma chissà, con i tempi che corrono, potrei anche essere tacciato di instigare alla violenza. 9 giorni senz’acqua, già. Ma tanti, tantissimi di menefreghismo totale. D’incompetenza totale. Di soprusi sociali, civili, professionali. Tanti, tantissimi di deturpazione territoriale.
Messina è stata in guerra. E adesso tacciatemi pure d’essere esagerato, drammaticamente allarmante. Messina è stata in guerra con se stessa e contro tutti. E porta due bombe dentro di sé. Due bombe ad orologeria collegate a tantissimi mini ordigni. E a poco a poco tutto esplode, irreversibilmente. Messina esploderà ed imploderà una volta esaurite le micce che tengono maldestramente legate quelle piccole fortezze del vivere civile. Piccoli avamposti che saltano irreversibilmente. Questa volta è toccato all’Acqua. 9 giorni senz’acqua, già. Ma infiniti anni d’indecisione amministrativa, ieri trovatisi a confluire in una via di fuga ad imbuto.
Barili scaricati su quello o su questo, spintoni vari per liberarsi delle responsabilità ed altri spintoni per riaccaparrarsele, quelle responsabilità. A fare la voce forte che nemmeno il “pisciaro” del mercato rionale. A vendere aria e pesce dall’occhio non tanto fresco. Una corsa a chi riferisce alla comunità la frase migliore. Ma non la più giusta. La frase migliore ma non quella più chiara. La frase migliore ma non quella che serve. La frase migliore per difendersi dalla posizione che si occupa ma non per difendere quella occupata dalla popolazione. Tanti esempi di Wile E. Coyote e Beep Beep. Tanti esempi di Gianni e Pinotto, di Stanlio e Onlio. 9 giorni senz’acqua, già. E c’è stato pure il politico amministrante una regione che non sapeva.
Che incolpa gli altri, perché non gli han fatto sapere. La prossima volta va bene una raccomandata? Segnali di fumo? Rito pagano in mezzo allo Stretto? Infondo erano solo trascorse circa 18 ore dalla prima apparizione dell’ashtag #Messinasenzacqua come Top Trend nei più famosi Social Network. Non so se siete andati mai in un Lunapark. Vi ricordate quel gioco col martello in cui, da una piattaforma, spuntavano finti vermi, alieni, marmotte e che, una volta comparsi anche contemporaneamente, bisognava essere bravi nel pestarli prima che ricadessero giù? A Messina le istituzioni hanno fatto così. Pensavi d’averlo preso e che da quel buco, la marmotta, non fosse più apparsa? Ed ecco che riappare e tu che, maldestramente, la manchi.
Mio nonno da piccolo mi portava a raccogliere funghi. Il periodo è questo. Possiamo dire che l’esempio possa pure calzare a pennello. I funghi, per quel che io ricordi, spuntano più o meno una settimana dopo l’ultima pioggia. Ma bisogna fare attenzione. Capire e sapere sotto quale albero si trovino. Potrebbero essere velenosi. Messina è rimasta senz’acqua e fatte le dovute proporzioni, affinché qualcuno facesse la voce grossa, di giorni ne sono passati tanti. E ad un certo punto a Messina è sembrato che di punto in bianco non esistano computer, telefoni, mezzi di comunicazione.
Che chi abbia l’autorità e il dovere di fare da tramite col governo centrale ad un certo punto, tramite un collegamento spazio/temporale dovuto alla presenza di un buco nero, scomparisse. Per poi tornare in sella al suo cavallo bianco come fece Sean Connery in Robin Hood – Il Principe dei Ladri. In quell’occasione, Sean Connery interpretò Re Riccardo Cuor di Leone. Tornava da una Crociata. Era stanco, afflitto. Apparì alla chiusura del film e per poco meno di un minuto di scena, si beccò fior di quattrini.
Ad averne di Sean Connery. Lui, le luci della ribalta, le gestirebbe bene e poteva pure spuntare su una Fiat Uno del 1992. È il suo mestiere. Ma quello è un film. Lui è un attore. Lui. Qui invece, nella realtà, mentre la gente è senz’acqua, si gioca a Sarabanda. O, per fare un altro esempio cinematografico, si gioca a braccio di ferro come in Over The Top. 9 giorni senz’acqua, già. E la gente fermava per strada ed assaltava le autobotti indirizzate a precisi luoghi. Assaltare un distributore mobile di acqua.
Ci stiamo rendendo conto? Un cumulo di scelte scellerate. Il tirare avanti con una sola importante condotta. Il non provvedere, in tempi di pace, a trovare un’alternativa per un’approvvigionamento idrico secondario. Il non cercare, ai primissimi segni d’allarme, di chiamare autobotti, navi cisterne. Che fossero stati tre giorni. Ma anche due, o uno. Il non prendere una decisione. Una. Ferma. Mentre ferma, immobile, inerme, era la popolazione. 9 giorni senz’acqua, già. Ma “Calati juncu ca passa la china”. Tanto noi possiamo resistere e Loro lo sanno. “Calati juncu ca passa la china” e tutto torna normale. “Calati juncu ca passa la china” e fai fare a Loro. Tra comunicati, cambi repentini di programma. Il “Prendo il potere io” che fa un po’ da eco alla canzone del grande Enzo Jannacci, “Vengo anch’io – No, tu no!”. Un gioco delle parti quasi pirandelliano e si finisce per non capirci quasi nulla se non stai dentro la psicologia dei personaggi.
Un gioco delle parti stile “I sei personaggi in cerca d’autore”, di Pirandello, per restare in tema. Personaggi che vagano, chi per un interesse più etico, chi per un interesse più personale. Ma vagano. Fluttuano nell’aria. Sportellate che nemmeno in un poliziesco americano degli anni ottanta. 9 giorni senz’acqua, già. E mentre accade tutto questo, la gente si attacca ai mezzi d’informazione. Vuole sapere. Ma non è dato sapere. E quando vien fatto sapere, accade a metà. Perché tutto accade a metà. Comunicazioni e poi rettifiche. Proiezione dei tempi per il ripristino della distribuzione idrica subito dopo corretti. Ad un certo punto m’è pure successo di andare in bagno, lasciare aperta la pagina con l’aggiornamento delle notizie e trovarmi, al mio ritorno, una serie di aggiornamenti che mi hanno fatto venire pure il dubbio se quella pagina fosse vecchia. Antica.
Appartenente ad un’altra regione, città. C’erano stati più aggiornamenti in quella pagina– i mezzi d’informazione hanno fatto il possibile per stare dietro a quanto accadeva rimbalzando nelle pista delle notizie meglio di Senna – che in tre partite di Champions League. Mi son trovato a dovermi comportare come per le schedine, o come quando ci si scambiava le figurine, da bambino: ce l’ho, ce l’ho, ce l’ho, mi manca, mi manca, ce l’ho. Sindaco, Prefetto, Presidente della Regione, Presidente della Provincia, Presidente del Consiglio, Ingegneri, Progettisti, Batman e Robin. 9 giorni senz’acqua, già. E più di qualcosa ancora non m’è chiara.
Un paese, Calatabiano, a serio rischio frane. Una collina che spinge e che quindi, pericolosamente, porta con sé la conduttura di cui si è parlato. Un bypass, quello di Forza d’Agrò, fatto solo adesso. Ma qui le parole si sprecano. Ma torniamo al primo problema, quello di Calatabiano. C’era allarmismo quel giovedì sera.
Tra i social, i telegiornali locali. La situazione in quella zona, vista anche attraverso qualche foto, è abbastanza pericolosa. Poi, un lampo. Venerdì mattina una notizia che sembra come ventata d’aria primaverile: “L’acqua tornerà. Calatabiano è sicura”. Così, da un giorno all’altro, le pericolosità ascoltate anche dal sindaco del luogo, vanno a smaterializzarsi. Così come tutte le preoccupazioni. Non dico che non si sia più tenuto conto della pericolosità di quella zona, né che se ci fosse stata la possibilità d’immettere acqua, questo non dovesse avvenire. Dico solo: ma in una notte avete già cambiato idea sulla situazione geologica di un luogo? Troppo superficiali prima o troppo precipitosi adesso? Quel che credo è che tutto sia precario.
Che ci siano mezze verità, o mezze falsità. Fate un po’ voi. 9 giorni senz’acqua, già. E tra il rischio di non trovare più mutande nei negozi, comprare un bidone vuoto d’acqua a 15 euro, Messina lentamente ritorna alla normalità. Anzi, mezza normalità. Perché è vero: Messina è la città delle cose a metà. Punta di diamante di tutto il sistema italiano. Per personaggi, uomini e cose. “Mezza bira”, “mezza parola”, “mezza con panna”, mezze soluzioni. È strano ma io stavolta non mi rassegno all’idea che sia tutto finito. Sono paradossalmente fiducioso del fatto che questa sia una grandissima presa per il culo. E quindi, ancora paradossalmente, Vi aspetto al passo. Mi auguro davvero che si torni alla normalità, ma solo nei fatti. Non nelle discussioni. Messina è stata prigioniera di guerra. Prigioniera di guerra. “E voglio i nomi di chi s’impegna a fare i conti con la propria vergogna”. In una Italia in cui nulla è più definitivo della provvisorietà.