Messinesità #adminchiam – La Cacca di Cane

di Simone Bertuccio – La mattina ti svegli presto per andare a lavoro. Ti svegli con quel nervosismo e quella nausea che ci accomuna più o meno tutti. Sai che dovrai sistemare la tua camera – scrigno di racconti delle tue notti brave -, che dovrai lavarti, vestirti, darti una ennesima buona motivazione per cui vale la pena lavorare 8 ore al giorno per 500 euro, quindi ti guardi allo specchio, ti convinci che il mondo non è finito, ti asciughi i capelli dopo la doccia, ti lavi i denti, ti profumi, chiavi di casa, chiavi dell’auto o biglietto del tram e “Mettiamo i piedi in testa a questa triste vita!”.

Scendi le scale in un modo quasi compiaciuto, quasi convinto di esser una persona in carriera. In fondo ti sei svegliato presto per una buona causa, lavorare appunto, e cosa può esserci che potrebbe iniziare a rovinarti la giornata? Il rischio che la barista baffuta del bar dove andrai a fare colazione possa servirti un caffè bruciato? Che la pancia di quel cornetto alla marmellata che sei desideroso di mangiare in realtà è profonda e vuota come il Grand Canyon? Che possa beccare chilometri e chilometri di coda per strada con o senza auto? Diciamocelo chiaramente, tra le tante cose, sono queste anche che potrebbero farci dire: “Questa sarà una giornata di cacca”. Le piccole cose, appunto. Quelle piccole cose di cui tutti parliamo.

Hai appena parcheggiato in modo regolare. Cosa che in questa città sembra strana come Javier Zanetti che dice di aver sempre tifato Juve. Ed hai parcheggiato pure un po’ distante da dove si trova il tuo luogo dove giornalmente doni il sangue, che non è l’Avis, ma il tuo luogo di lavoro. Pensi: “Beh, è una bella giornata, fare due passi a piedi cosa mi costa? Manca poco al traguardo. Non può essere una giornata di cacca”. Recita così il tuo mantra segreto. Centimetro dopo centimetro la tua mezz’ora post risveglio di “odio verso il mondo” è stata appena superata. Tutto fila liscio come l’olio.

Dai. Ci siamo quasi. Devi solo girare l’angolo e ci siamo. Sembri Pantani durante la frazione di Plan di Montecampione del 1998. Con la spinta dello spirito, decidi di imboccare l’ultima curva senza guardare per terra. Nemmeno per un istante. Ti guardi attorno. Il panettiere si fa i fatti suoi ma a te sembra stia tifando per te. Una donna molto carina sta flirtando con il suo uomo ma a te sembra stia tifando per te. Tutto il mondo è alle tue ginocchia. Ti guardi attorno. In estasi. Il mondo ti passa attorno e tu, diamine, tu l’avevi detto e ci sei riuscito: “Mettiamo i piedi in testa a questa triste vita!”. Ma è un attimo. Quell’attimo che ti porta inesorabilmente a rendere reale ciò che avevi detto. “Mettere i piedi in testa”, già.

Una cacca. Pesti una cacca. Lì, a pochi metri dal portone. E ti passa indissolubilmente davanti tutta la tua vita dal tuo risveglio. Pensi che ti sei fatto la camera, al fatto che ti sei lavato, al fatto che verrai sottopagato. Ti blocchi, immobile, come Fantozzi dopo l’allenamento in bici. Ed inizi a pensare solo ad una cosa: che le persone, tutte le persone del mondo ma in particolare quelle della tua città, non hanno necessariamente bisogno di renderti difficile la vita entrando direttamente in contatto con te. Vale per i parcheggi “ad minchiam” così come per le feci dei propri animali. Ti entra in circolo una delle Leggi di Murphy: che se qualcosa può andar male, lo farà. E non importa un cavolo a nessuno se tu reciti i tuoi mantra, programmi alla perfezione la tua giornata, perché ci sarà sempre l’inciviltà dei tuoi stessi concittadini a risucchiarti come nel buco nero di Nolan in Interstellar.

È un attimo. Ti guardi indietro e vedi come di cacche, quella strada, ne è piena. Pienissima. E ti accorgi che se l’hai beccata solo alla fine, con quel tuo maledettissimo piede destro che inizi a pensare fosse stato meglio ce l’avessi amputato,  è stato solo un semplicissimo caso.

La maxi-cacca di Paul McCarthy -Biennale di Carrara 2010
La maxi-cacca di Paul McCarthy -Biennale di Carrara 2010

Il tuo sguardo, dall’ispezionare il marciapiede fino ad un centinaio di metri, si alza quasi a raggiungere un’altezza terra-aria. E becca Lui. Quel tizio a cui, appena hai parcheggiato, hai visto passeggiare con aria pia con il suo cane. Sorridente. Tu eri pure sorridente. Scambio di sorrisi. Eri nel pieno del tuo idillio, Lui ti sembrava buono. Il mondo ti sembrava buono. Ci si lamenta delle strade dissestate, dei marciapiedi divelti, delle poche isole pedonali ma, fateci caso, se vi sono escrementi d’animali a terra, questi saranno solo nella piccola porzione di terreno fruibile per i pedoni. Come se il padrone dicesse al proprio cane: “Lì! Vedi quelle mattonelle ancora sane? È lì che devi farla!”. Strade? Marciapiedi? Isole pedonali? Ma di cosa stiamo parlando? Campi. Campi sterrati ovunque. Dove è possibile fare le corse dei cavalli senza che gli stessi si facciano male agli zoccoli, dove è possibile far fare la cacca ai propri animali liberamente. Cerchiamo di stravolgere le visioni a cui siamo stati abituati. Azzardiamo. Chissà che la frase di De Andrè non possa realizzarsi e che in tutta una città fatta di letame non possano crescere grandi e bellissimi campi di fiori.

La città è piena di merda.

“Scusi, che razza è?”, “Bastardo”. E il cane?

 

 

 

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