Ci risiamo: cambia il ministro ma non la posizione sulla necessità di accorpare le Authorities e, neanche a dirlo, privare Messina della governance sul proprio porto. Se da una parte c’è chi ritiene che il possibile accorpamento con Gioia Tauro sia una soluzione ideale, probabilmente anche pensando alla famosa area integrata dello Stretto, tanto cara tra gli altri al sindaco Renato Accorinti, dall’altra c’è chi dice no. Il lavoro al piano di riordino (e riduzione dunque) delle autorità portuali italiane era stato avviato già dal predecessore dell’attuale ministro dei trasporti e le infrastrutture, il deputato Ncd Maurizio Lupi, coadiuvato da un gruppo di esperti. Ma dal cilindro dei saggi designati non è uscito fuori niente di meglio che privare un porto strategico come quello di Messina del controllo su se stesso, abiurando in favore di una subordinazione. Dimessosi l’alfaniano, nella rosa del Governo è entrato al suo posto il neo ministro Delrio, ma la situazione non appare granchè diversa.
La riforma portuale, evidentemente, non ritiene che Messina abbia le prerogative tali da necessitare un’autonomia e lo sposalizio con l’Authority gioiese deve esser parsa la soluzione migliore. Ma migliore secondo chi? Non certo per i deputati regionali Nino Germanà, Marcello Greco e Beppe Picciolo che, insieme al sindaco di Gioia Tauro, Giuseppe Pidà, hanno scritto a quello che, di fatto, è il braccio destro di Renzi, chiedendogli di riflettere sulle peculiarità del nostro porto “al fine di scongiurare l’accorpamento della sua authority con quella calabrese”.
Al primo posto tra i porti italiani e all’ottavo nel contesto comunitario, “possiede caratteristiche che, a nostro avviso”, scrivono i mittenti della missiva rivolta a Delrio, “vanno tenute in attenta considerazione”. Oltre al traffico passeggeri che, secondo i dati 2014 di Eurostat, si attesta intorno alle 8 milioni e 126 mila unità pedonali, non vanno ignorati i numeri relativi i mezzi pesanti. Il gommato in continuo passaggio nell’area dello Stretto fa contare una media di oltre 750 mila mezzi in transito annuale. Questi numeri, sottolineano i parlamentari siciliani e il primo cittadino calabrese , necessiterebbero di urgenti adeguamenti infrastrutturali al fine di consentire la gestione dei flussi, piuttosto che di un depotenziamento del controllo centrale dell’Ente territoriale preposto.
“Il sistema gestito dall’AP di Messina e Milazzo rappresenta, pertanto, uno snodo di assoluta rilevanza internazionale oltre ad essere il naturale e ovvio baricentro dell’area integrata dello Stretto che coinvolge le due realtà metropolitane di Messina e Reggio Calabria, da tempo considerate due sponde di una stessa grande realtà, per via dei comuni interessi socioeconomici”.
Il 3 luglio, la proposta Delrio è stata approvata, seppur in via preliminare, dal Consiglio dei Ministri, adesso dovrà passare al vaglio delle commissioni parlamentari prima di approdare alle camere. E’ dunque questo il momento di rivedere il progetto che lederebbe irreversibilmente l’AP di Messina e Milazzo il cui primato, secondo i firmatari della lettera, non deve essere “sminuito o ancor peggio disconosciuto in favore di un accorpamento che riteniamo inidoneo a gestire adeguatamente traffici e interessi della portualità dell’area dello Stretto, il cui buon funzionamento necessita in modo imprescindibile di un controllo ferreo affidato ad una cabina di regia collegata al territorio, che funga da trait d’union con Enti e Istituzioni locali e nazionali”.
Numerosi i punti sui quali Germanà, Greco, Picciolo e Pidà si soffermano: “dal naming previsto per la nuova authority (“Autorità di Sistema Portuale della Calabria e dello Stretto”) alla rischiosa concorrenzialità tra le realtà portuali comprese nell’eventuale accorpamento con Gioia Tauro” che considerano una “lesione nella forma e nella sostanza a cui potrebbe andare incontro la città di Messina (comprensiva della realtà milazzese), giacché, inoltre, all’interno del sistema, “non è previsto che l’area orientale della Sicilia entri con pari dignità rispetto alla sponda opposta”.
Oltre al danno la beffa, dunque. Fa riflettere che, mentre l’ospite di Palazzo Zanca risulta tra i testimonial dello sposalizio con l’autorità gioiese, al contrario, il sindaco Pidà non sia affatto d’accordo con la linea del ministro, circa cui esprime “fortissime riserve e perplessità”.
Il sindaco Pidà sostiene che “l’impianto della riforma in oggetto appare “ictu oculi” permeato da una filosofia che mette al centro i concetti di competitività e razionalizzazione, linee guide già tristemente perseguite con pessimi risultati su un piano più strettamente macroeconomico. Riteniamo perciò utile”, ha dichiarato alla stampa calabrese “chiedere un completo cambio di paradigma, destinato a privilegiare le singole specificità locali con interventi precisi e mirati. I problemi che attanagliano il Porto di Gioia Tauro, opera decisiva che esprime un potenziale nettamente al di sotto delle aspettative, non sono sovrapponibili a quelli che gravano sui Porti siciliani, come tra l’altro correttamente evidenziato dai più sensibili esponenti della classe politica isolana con i quali manteniamo un continuo e proficuo rapporto di collaborazione”.
Contrari alla fusione con Gioia Tauro, porto che, ricordiamolo, insieme a quello di Genova, è il “prediletto” dal narcotraffico, come riportato nella Relazione annuale della Direzione centrale dei servizi antidroga, grazie alla capacità della ‘Ndrangheta – leader mondiale nell’importazione di cocaina – di controllare il territorio e ai suoi rapporti diretti con i cartelli dei narcos sudamericani e messicani, sono anche alcuni deputati nazionali.
“Le competenze dello Stretto di Messina”, ha asserito il deputato messinese Francesco D’Uva appena qualche settimana fa, “devono, senza se e senza ma, rimanere in un distretto di competenza che assicuri la continuità territoriale e commerciale tra le due sponde” . Dello stesso avviso è il democratico Giuseppe Lauricella: “sì alla sinergia e la cooperazione con le altre realtà portuali, ma il porto per Messina è una risorsa. Mantenere l’autonomia vuol dire garantire futuri investimenti”
A questo punto, non resta che incrociare le dita e sperare che questa trasversalità possa portare ad un reale, concreto e proficuo impegno per salvare quel (poco) che è rimasto da salvare nella nostra città, sia essa la giurisdizione sul porto, la Corte d’appello, la Camera di Commercio o la Banca d’Italia.