La pluripremiata Compagnia Carullo Minasi è a Messina e sta mettendo in scena la propria Trilogia sul Limite. Inizialmente la Trilogia, doveva svolgersi in tre luoghi diversi: Due Passi Sono al Teatro Vittorio Emanuele, T/empio al Tribunale di Messina e La conferenza tragica effimera sui concetti ingannevoli dell’arte al Centro diurno Camelot, già ex manicomio Mandalari. Purtroppo, lo spettacolo di oggi, T/empio, a causa di problemi organizzativi, non potrà svolgersi al Tribunale, tuttavia sarà replicata l’intima formula di Due passi sono, con il pubblico sul palco e la quarta parete aperta sull’enorme ventre della scena.Come ben evidenziato dal sociologo urbano Pier Paolo Zampieri che proprio ieri, insieme al sottoscritto, ha introdotto la Trilogia, Teatro, Tribunale e Manicomio costituiscono una triade di luoghi istituzioni fondamentale per l’uomo contemporaneo. Nell’intento dei Carullo Minasi, le diverse ambientazioni dovevano corrispondere al tema di fondo della trilogia: il limite come detonatore dell’opera d’arte. Il lavoro fatto con Zonacammarata, l’amicizia e le profondo dialogo intellettuale e umano tra noi, ha fatto si che ci fosse dato l’onere e l’onore di presentare il lavoro di questa coppia di splendidi attori. Di seguito un estratto del mio intervento, cui spero si aggiunga presto quello del professor Zampieri.
Per l’uomo premoderno la vista era il fulcro del suo mondo cognitivo. Il siciliano che viveva a Messina nel XV secolo, anche se analfabeta, riusciva a convivere con gruppi etnici diversi per provenienza geografica, lingua, costumi e tradizioni. Il suo sguardo era avvezzo alla comprensione della psicologia di quanti si trovassero sul suo cammino. I ritratti di Antonello in questo sono esemplari, unici nel loro genere e accostabili solo ai più icastici ritratti fotografici, non rappresentano soltanto le fattezze dell’effigiato, ma restituiscono una visione d’insieme, a volte lucida e spietata, su tutta la psicologia del personaggio. Lo sguardo di Antonello, quindi, è uno sguardo che accetta completamente la natura e decide di raccontarla, senza tentennare sulla verità biologica e psicologica dei suoi effigiati. La sua visione è quindi “oggettiva” e naturale, egli vuole raccontare la bellezza del mondo e non esita a dipingere tre crocifissioni ambientandole, piuttosto che in una Gerusalemme immaginata, nella Messina a lui contemporanea.
Ogni giorno i messinesi scrutavano al di là del faro interrogando l’orizzonte: tornerà? Sono salve le mie merci? Arrivano li turchi? Essi vivevano in relazione profonda con lo spazio naturale, con il ritmo delle stagioni e gli accadimenti metereologici, gli umori delle onde, le sciroccate tremende. Questo patrimonio di relazioni, tra gli uomini e degli uomini con la natura, è stato fatalmente spezzato dal terremoto del 1908. La ricostruzione della città ha corrisposto alla sua definitiva risignificazione: il mare è stato progressivamente abbandonato, il porto fatalmente blindato, il paesaggio confinato a fondale da fotografare e non come risorsa da attraversare. Chi si aggira tra le vie di Messina, difficilmente riesce a vederlo, i palazzi s’innalzano disordinatamente, lo sguardo è continuamente bloccato, non può vagare, raggiunge l’orizzonte fortuitamente, per impreviste aperture dell’architettura. Non solo, per via della sua lunghezza, 50 km di costa, la città è vissuta dai suoi abitanti principalmente attraverso le auto. Ogni giorno i cittadini percorrono chilometri tra casa e lavoro, senza occasione di guardarsi, di potersi studiare. La percezione dello spazio urbano è confinata al finestrino delle macchine, superficiale e arrabbiata come una coda frustrante al semaforo. Lo sguardo si è ristretto, è diventato unicamente individuale, chiuso in micromondi personali in cui l’altro è un limite insormontabile, uno specchio dove si raddensano tutte le frustrazioni per uno spazio cui non si sente di appartenere, che si fa fatica e comprendere. In questo senso, due passi fuori, in giro, tra gli uomini e le cose, possono essere un gesto rivoluzionario che interroga e scompagina tutti i limiti della nostra condizione. (Mosè Previti www.lalleru.it)