Nuovi elementi sul periodo di latitanza del boss Bernardo Provenzano danno maggiore forza alle battaglia condotta negli ultimi anni dalla famiglia di Attilio Manca, il giovane ma stimatissimo urologo, trovato morto nel suo appartamento di Viterbo il 12 novembre del 2004.
Secondo quanto affermato da un “messaggero” del capo mafia al giornalista Sandro Ruotolo, nel corso della trasmissione Servizio Pubblico, Bernardo Provenzano avrebbe trascorso la parte finale della sua latitanza in un casolare dell’Alto Lazio, vicino al confine con l’Umbria. Sarebbe stato lo stesso Provenzano ad inviarlo per contattare i magistrati e intraprendere la trattativa per la resa, di cui nessuno avrebbe dovuto essere messo al corrente. Una serie di “incontri” che “l’ambasciatore” del boss iniziò con il procuratore nazionale antimafia Vigna e proseguirono con Pietro Grasso che gli subentrò pochi mesi dopo. Sempre secondo quanto dichiarato dal “messaggero” Provenzano avrebbe chiesto ed ottenuto che nessuno fosse messo a parte della sua ‘resa’ e del denaro ha parlato di 2 milioni di euro in un paradiso fiscale, minacciando di rendere pubblica la trattativa qualora fosse trapelata la notizia che si era costituito.
Una vicenda “smentita” dai magistrati coinvolti, che hanno sempre dichiarato di non aver mai ritenuto attendibile il “messaggero”. Resta il fatto che Provenzano verrà arrestato l’11 aprile 2006 in Sicilia, a pochi mesi dalla presunta trattativa.
Tra i misteri che avvolgono la latitanza e la cattura del boss resta la tragica morte di Attilio Manca, che era in servizio nell’ospedale di Viterbo, su cui esistono molte zone grigie. Innanzitutto alcuni elementi che non sembrano lasciare dubbi alla madre Angela e al fratello Gianluca, ospiti della trasmissione di Santoro: nessuno di loro ha visto il corpo di Attilio, hanno atteso due giorni prima di sapere che la causa della morte del loro congiunto era l’overdose (tra l’altro con i fori delle siringhe nel braccio sinistro, che la madre smentisce visto che Attilio era mancino), il giovane ma apprezzatissimo urologo si trovava a Marsiglia proprio nel periodo in cui Provenzano venne operato alla prostata.
Secondo la signora Manca, la notizia della latitanza di Provenzano nell’Alto Lazio, vicino a Viterbo, nei mesi successivi all’intervento alla prostata, rafforza i suoi sospetti.
Del resto, un’altra notizia importante si aggiunge alla ricostruzione di una morte inquietante: Gianluca manca, infatti, ha riferito le risultanze delle perizie del RIS sulle siringhe che sarebbero state rinvenute vicino al cadavere, e che dopo otto anni risultano prive di qualsiasi impronta, tantomeno di Attilio.
Attualmente il processo sulla morte di Attilio Manca esiste solo un processo a carico di sei persone, ma solo per il reato di cessione di sostanza stupefacente. La procura della Repubblica di Viterbo, infatti, ha chiesto per tre volte l’archiviazione del caso come “morte per overdose”: una decisione sempre contestata non solo dai familiari che chiedono giustizia, ma anche da una moltitudine di associazioni, giornalisti e cittadini che credono fermamente nel movente mafioso di quello che per molti è un omicidio.