Nel calderone pre natalizio entra non solo la sedicesima giornata di serie A, ma anche la Supercoppa italiana, appena levata al cielo di Doha dal Napoli, che al termine di una gara folle – conclusasi al nono (sic!) rigore della lotteria – si è imposta su una Juve sciupona: due volte in vantaggio e due volte raggiunta prima di sprecare con Chiellini e Pereyra i match point dagli undici metri, fino al definitivo errore di Padoin.
D’autore il 2-2 maturato nei 120 minuti, le griffe di Higuain e Tevez, entrambi protagonisti con una doppietta, avevano impreziosito una sfida che certo non ha lesinato emozioni. Bravissimi gli azzurri a crederci fino alla fine a dispetto dei contraccolpi psicologici, la sceneggiatura thrilling regala una notte di gioia alle falde del Vesuvio e il decimo trofeo della carriera a Rafa Benitez, sempre più re di coppe.
La Vecchia Signora non ha chiuso quindi nel modo auspicato il 2014, l’anno del tri(s)colore griffato Antonio Conte, l’ormai ex condottiero – passato alla guida della Nazionale – che lo scorso luglio ha lasciato la panchina a Massimiliano Allegri. Prima dell’amarezza qatariota, i bianconeri avevano avuto modo di gioire per l’allungo a più 3 in campionato.
Vidal e compagni hanno infatti rifilato un indiscutibile 3-1 al Cagliari nel primo anticipo del giovedì, mettendo a rischio la panchina di Zdenek Zeman. Il boemo, al cospetto della squadra da lui più odiata, ha commesso un’autorete madornale nel rinunciare al suo consolidato 4-3-3. Ecco, Zdenek che sconfessa il suo credo offensivo, scegliendo di coprirsi per limitare l’avversario…è praticamente un ossimoro. E la mossa non è affatto piaciuta nelle segrete stanze del club sardo, perché è chiaro che uno Zeman snaturato ad alti livelli vale ancora meno. Persino la società ieri ha ammesso che un altro mister con questi chiari di luna sarebbe già stato esonerato, probabilmente a Sdengo converrebbe uscire di scena, una volta per tutte, nel modo più onorevole.
La Roma non è riuscita a rispondere alla battistrada, finendo per farsi imbrigliare sullo 0-0 all’Olimpico dal Milan. I giallorossi possono recriminare per la mancata concessione di un rigore (evidente il fallo di mano di De Jong), ma anche Garcia ha ammesso nel dopo partita che la sua squadra avrebbe dovuto fare di più per portare a casa l’intera posta. Inzaghi ha superato alla grande il doppio esame decembrino: 4 punti contro Napoli e Roma e zero gol subiti, malgrado l’assenza di tre titolari su quattro in difesa.
In generale, per quanto fatto vedere sin qui, nel complesso vanno fatti i complimenti al Superpippo allenatore. Ha accettato una sfida gigantesca tra mille incognite, altissimo il rischio di bruciarsi, ma la pagella del primo quadrimestre è zeppa di 7 pieni, con qualche 8 a far capolino: la rivitalizzazione di Mexes e l’invenzione di Menez centravanti le sue perle, poco male per Fernando Torres: prima di lui tecnici ben più navigati, Mourinho compreso, non erano riusciti a riportarlo ai fasti di un tempo. I giocatori pian piano stanno recuperando l’orgoglio, quel senso di appartenenza che sempre aveva contraddistinto chi indossava la maglia rossonera. Permanendo chiusi i rubinetti, è già tanta roba. Per il terzo posto il Milan potrà dire la sua, con un buon mercato le possibilità di spuntarla nel volatone crescerebbero non poco.
Rimanendo in tema, delle tre compagini che attualmente occupano la terza piazza ha vinto soltanto il Napoli, parimenti in campo giovedì in vista dell’impegno negli Emirati: comodo 2-0 al Parma fanalino di coda, che si aggrappa alla nuova proprietà per scacciare lo spettro di una retrocessione che, ad oggi, sarebbe più che meritata. La Lazio invece non è riuscita a capitalizzare il doppio vantaggio griffato Felipe Anderson nel posticipo di San Siro, l’eurogol di Kovacic e la prima zampata di Palacio – finalmente sbloccatosi – hanno consentito a Mancini di muovere la classifica. Chiaro, il ruolino di cinque punti in altrettante partite integra una media da turbolenta salvezza, ma il tecnico jesino prima di firmare ha incassato le garanzie richieste sul mercato.
Con il medesimo risultato di 2-2 la Sampdoria ha impattato a Marassi con l’Udinese, a togliere le castagne dal fuoco ha provveduto il solito Manolo Gabbiadini, ieri all’ultimo atto in maglia blucerchiata prima di abbracciare ufficialmente il Napoli. Mihajlovic ancora non se ne fa una ragione (“non mi risulta che abbia già firmato”), dovrà farlo presto.
Nella giornata dei pareggi, ben sei, la palma di gara più spettacolare va indubbiamente ad Atalanta-Palermo: 3-3 il finale, alimentato dalle doppiette tanguere realizzate da Vazquez e Denis, che dopo una sfilza di gare anonime si è ripreso la Dea nel momento più opportuno.
Pari con gol anche all’Artemio Franchi: l’Empoli non è più una sorpresa, l’ha memorizzato a proprie spese anche la Fiorentina. Per Sarri vale in buona parte il discorso fatto per Inzaghi, tenendo presenti le debite differenze strutturali: bene-bravo-bis al primo anno di serie A.
Anche Sassuolo-Cesena è terminata sull’1-1, Zé Eduardo ha permesso ai romagnoli di mettere in carniere il primo punto dell’era Di Carlo, mentre Paloschi ha deciso in fuorigioco il derby di Verona. Chiosa dedicata al Torino, vittorioso in rimonta sul Genoa orfano delle stelle Perotti e Perin. A rubare la scena è stato il polacco Kamil Glik, professione difensore centrale, ieri autore di una sorprendente doppietta: cuore Toro, cuore di capitano.
Jody Colletti @jodycolletti