Sir Winston Leonard Spencer Churchill diceva che gli italiani vanno in guerra come allo stadio e allo stadio come alla guerra. Questa mattina, in effetti, in piazza Unità Europea, proprio dinanzi al Comune di Messina, a un certo momento è sembrato di assistere a una partita di calcio, con opposte tifoserie impegnate a esporre i propri colori: il verde-bianco-rosso, di patriottica suggestione, con tanto di scritta “Grazie ragazzi”, e l’arcobaleno della cosiddetta pace.
A sventolare il vessillo coniato con l’unità d’Italia, sono stati diversi consiglieri comunali. A ostentare lo spettro dell’iride, ai lati della piazza, gli attivisti di Cambiamo Messina dal Basso, la cui disposizione, quasi una barriera umana senza soluzione di continuità, ha ricordato la scena finale di V per Vendetta. Film del 2005, di James McTeigue, ispirato a un romanzo di Alan Moore, che racconta di un uomo misterioso, con il volto coperto dalla maschera di Guy Fawkes – cospiratore cattolico che nel 1605 tentò di far saltare in aria il Parlamento inglese – che tenta di rovesciare un futuristico regime totalitario, degno di quello dipinto da George Orwell in 1984 e retto da un sanguinario cancelliere. La storia si conclude con la morte dell’eroe, V, ma anche con la fine della dittatura, grazie a un’insurrezione popolare, con la gente schierata come un’unica coorte, in marcia verso il Palazzo. Ognuno con in dosso cappello, mantello e maschera di Guy Fawkes.
Ironia della sorte, il tentativo di Fawkes di far deflagrare la Camera dei Lord risale a un 5 novembre mentre il film, nelle originali intenzioni dei produttori, avrebbe dovuto fare il proprio esordio nelle sale il 4 novembre di nove anni fa.
Nell’odierno 4 novembre, a Messina, ai pacifisti guidati dal sindaco Renato Accorinti non si sono opposti – perché solo un idiota o un nichilista auspicherebbe la guerra – ma hanno fatto da contraltare i sedicenti patrioti. Esponenti delle Forze Armate, delle istituzioni, dello Stato. Lo Stato che, senza andare troppo lontano nel tempo, impone tre premier (o cancellieri) di fila, Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi, eletti da nessuno. Che propone la testimonianza farsa di Giorgio Napolitano al processo sulla trattativa con la mafia e propina sentenze volgari e scandalose come quella sull’uccisione di Stefano Cucchi. Che continua a insabbiare qualunque prova sulle stragi. Che vessa il proprio popolo e, soprattutto, che alimenta costantemente questa paralisi che affama gli ultimi e rimpinza come fossero maiali i primi.
A guardarla bene, questa Unità nazionale, ci si domanda quando mai sia esistita. A cosa è valso il sacrificio di Peppino Impastato, di Placido Rizzotto, del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino. E di tantissimi altri eroi, perfino quelli inconsapevoli come Graziella Campagna o le vittime di Ustica, di piazza Fontana, della stazione di Bologna.
A guardarla bene, a cosa è valsa la morte della Meglio Gioventù? Decine di migliaia di ragazzi del 1899 dilaniati dalle granate, dalle baionette, dal piombo dei proiettili mentre tentavano di difendere la loro terra.
La meglio gioventù di allora si è immolata, andando in buona parte distrutta, per costruire un sogno, un ideale. Per permettere una vita agiata e sicura alle generazioni che sarebbero seguite. Oggi, esattamente un secolo dopo l’inizio della Grande Guerra, la meglio gioventù nata negli anni ’70, negli anni di piombo – tanto per non perdere di vista il tema centrale – viene sacrificata perché, non le generazioni future, ma gli avvoltoi, gli sciacalli, i parassiti del tempo presente possano ingrassare.
A quei meravigliosi ragazzi del ’99, nessuno può togliere niente. “Non passa lo straniero” veniva cantato e urlato in faccia ai soldati dell’Impero Austro-Ungarico dalle trincee del Piave. Oggi, lo straniero passa, eccome. Anzi, la Germania, che allora fu respinta inesorabilmente, adesso si toglie un macigno dalla scarpa, passeggiando sui cadaveri della meglio gioventù del momento. Ma anche chi è ancora più sfortunato, come i migranti provenienti dall’Africa, varca il confine generando, suo malgrado, lotte di classe che contribuiscono a rinforzare chi su questa conflittualità specula. Grazie alla strategia del divide et impera che, tramite la dilagante macelleria sociale, mette gli uni contro gli altri, distogliendo l’attenzione da chi elargisce miseria e povertà.
Ma c’è davvero differenza tra chi veste l’arcobaleno e chi il tricolore? Semmai andrebbero calibrati gli obiettivi e i tempi. Perché è vero che la corsa agli armamenti distoglie risorse che potrebbero finanziare i servizi ai cittadini. Ma è anche vero che questo scopo si potrebbe perseguire nei restanti 364 giorni dell’anno, lasciando il 4 Novembre a chi piange degli eroi miti, forzati della guerra, che per primi la pace l’avrebbero tanto desiderata.
Adesso, non resta loro che quella extra terrena. E gli umani affanni rimangono qui, trafitti da un raggio di sole, dove la meglio gioventù non prospera più. Faine e predatori si sono mangiati pure quella.
Se son rose… commemoreranno. (@FabioBonasera)