“Credo sia giunto il momento che Bernardo Provenzano lasci il carcere duro. “Pensare male degli uomini e non voler loro del male, è forse la forma più alta di saggezza e virtù”. ( William Hazlitt )”. Poche righe, nero su bianco, che Gianluca Manca ha affidato ai social network. Una dichiarazione per certi versi scioccante, visto che a chiedere la fine del carcere duro per il boss in fin di vita, è il fratello di Attilio Manca, l’urologo di Barcellona Pg che ha pagato con la vita proprio l’aver operato il “signor Troia”, che secondo una ricostruzione non ancora accredita processualmente era il nome con cui l’allora latitante è riuscito a lasciare l’Italia per raggiungere un ospedale francese.
Che lo stato di salute del boss Bernardo Provenzano sia incompatibile con il carcere lo hanno certificato i medici dell’ospedale San Paolo di Milano, in una relazione inviata al Tribunale di sorveglianza di Roma. Ma i magistrati, che dovrebbero pronunciarsi sulla eventuale revoca del carcere duro, hanno chiesto all’ospedale ulteriori accertamenti. A Milano invece si è tenuta l’udienza per la sospensione della pena al capomafia, e il collegio si è riservato la decisione.
“I medici hanno già certificato che il deficit cognitivo di Bernardo Provenzano è irreversibile – ha detto all’Adnkronos il legale Rosalba Di Gregorio – questo ulteriore rinvio mi sembra un modo per eludere una decisione immediata che attendiamo da tempo”.
Ma adesso “Ziu Binnu” non fa paura: 82 anni per 45 chili di peso è piuttosto un vegetale immobile su un letto, nutrito con un sondino naso-gastrico e totalmente annullato dall’encefalopatia. Del capomafia condannato a tre ergastoli e in carcere dal 2006, non resta che il nome. Nel 2012 ha tentato il suicidio, e da allora le sue condizioni di salute si sono continuamente e gravemente deteriorate, fino al ricovero nell’ospedale San Paolo di Milano.
Del resto, mesi fa Provenzano è stato perfino dichiarato incapace d’intendere e di volere dal tribunale di Palermo, che per questo ha stabilito dovesse essere sospeso il suo stato di imputato nel processo sulla «trattativa tra Stato e mafia», vista la sua impossibilità di partecipare alle udienze.
Da boss imprendibile Provenzano è oggi l’ultimo degli ultimi. Ed anche per questo, oltre che per una questione di diritto e di legalità, i Radicali con Marco Pannella e Rita Bernardini hanno deciso di intraprendere, da diverso tempo e in totale solitudine, una battaglia per chiedere la revoca del 41-bis.
In questa vicenda, infatti, non sono solo in gioco i diritti (negati) del detenuto Bernardo Provenzano ma anche quelli della sua famiglia, che al congiunto non può fare visita: la famiglia Provenzano può solo osservare (e talvolta soltanto leggere) il lento spegnersi del boss, ogni tipo di contatto fisico è infatti interdetto a chiunque non porti un distintivo. Un atteggiamento mafioso che questa volta è lo Stato ad attuare: anche questo è un aspetto, tragico, della”mafia dell’Antimafia”. Uno stato complice dell’ingiustizia non sarà mai credibile dinanzi a chi combatte per ottenere la verità negata.
Una dichiarazione, quella di Gianluca Manca, che proprio perchè vittima di quella disumanità che Provenzano ha incarnato, non è stato da questo dolore reso disumano, dando forza e speranza a chi nella quotidianità non dimentica da che parte stia il bene e la giustizia che salva, quella che mette al primo posto la dignità. (@pal.ma.)