VENT’ANNI DI SINDACI SENZA MAGGIORANZA. E A GOVERNARE E’ SEMPRE IL CONSIGLIO COMUNALE

Le polemiche degli ultimi giorni su tir e isola pedonale riaffermano la valenza di un aspetto più volte sottovalutato nel contesto socio-politico, e perfino culturale, messinese: la centralità del Consiglio comunale. Potrebbe sembrare un elemento scontato, eppure non lo è. Nel senso che qui, in riva allo Stretto, l’assemblea cittadina ha sempre giocato un ruolo più strategico che altrove pur tentando, più che altrove, di deresponsabilizzarsi.

A dare un’idea del peso straordinario rivestito dal civico consesso sono i risultati elettorali dell’era del bipolarismo. Ovvero, degli ultimi 20 anni. Dei sindaci eletti, solo Salvatore Leonardi e Giuseppe Buzzanca hanno goduto del sostegno della maggioranza in aula. Un destino diverso è toccato a Franco Providenti, Francantonio Genovese e Renato Accorinti. Con il venir meno del principale presupposto della governabilità. Certo, qualcuno di voi obietterà che Genovese in realtà è più liberale di David Ricardo, al pari del proprio candidato alle amministrative del 2013, Felice Calabrò. Ma la realtà sostanziale non va quasi mai di pari passo con quella politica, potrebbe rispondere qualcun altro.

Va aggiunto, e non solo sotto il profilo statistico, che i precedenti Consigli comunali erano tutti in prevalenza di centrodestra. A fare eccezione è proprio l’attuale, sempre ragionando in termini formali. Tuttavia, il fattore Accorinti ha fatto saltare il banco e il piano di affidare a Calabrò la guida della città. Un piano trasversale, dipendente dal contributo di parte del bacino elettorale che, in passato, aveva condotto al successo proprio i vari Leonardi e Buzzanca. Del resto, è inevitabile. In una città in cui sono di centrodestra pure i candidati del centrosinistra, un compromesso del genere non può essere trascurato. Se si intende governare.

Da qui, le difficoltà ad amministrare incontrate soprattutto dall’ultimo esecutivo. Quello del sindaco scalzo, appunto. Con appena quattro consiglieri comunali aderenti al proprio movimento, Cambiamo Messina dal Basso, e una inclinazione non proprio forte al compromesso politico, è conseguenziale che in aula sia sempre una lotta senza quartiere. Spesso, senza speranza.

Proprio per questa ragione, in premessa, esaltavo il ruolo del Consiglio comunale messinese, ritenendolo più strategico che altrove. Proprio quando si è chiamati dai cittadini ad amministrare arriva il momento di anteporre gli interessi collettivi a quelli di partito, all’ideologia, al risentimento personale. Soprattutto perché tutte le scelte finali passano dall’aula. Non si scappa. Da oltre un anno, tanto per non parlare di aria fritta, si assiste a un Consiglio che vota i bilanci, come il preventivo 2012 approvato a Natale del 2013 – e già per questo ci sarebbe da inorridire – attribuendo la colpa di qualunque vizio alla Giunta. Eppure, proprio l’altro ieri, il 29 luglio, si è avuta la dimostrazione di come l’assemblea possa emendare, arrivando a stravolgerli, i provvedimenti proposti dall’esecutivo.

Il Consiglio ha anche facoltà di invertire l’ordine del giorno degli argomenti in calendario. Ha scelto di non farlo nel caso dell’ordinanza anti tir – salvo poi rimproverare il sindaco di averla emessa senza consultarlo – ha scelto di farlo, premeditatamente, nel caso dell’isola pedonale, approfittando dell’assenza di quasi tutta la Giunta, impegnata ad assistere al funerale di un bambino morto per scappare dalla guerra. Spetta ancora al Consiglio e non all’esecutivo l’ultima parola sull’affidamento dello stadio di calcio per periodi superiori ai 12 mesi. O sull’aliquota delle tasse. Cosap inclusa.

Tutte le scelte fondamentali della vita dei cittadini passano dall’aula. Ed è questa che, sopperendo alle incoerenze di una città che vota sindaci di un colore politico e consigli di quello opposto, può decidere di farne comunque gli interessi. Soprattutto quando è così immatura politicamente.

Tuttavia, i consiglieri comunali sono proprio espressione di questa città. E dell’immaturità che la contraddistingue. Per questa ragione, si trastullano nel ruolo privilegiato che democratiche elezioni hanno assegnato loro, senza pensare alle conseguenze dei loro gesti. Penso soprattutto a quei consiglieri che sono presenti a palazzo Zanca dal lontano 1994, anno delle prime elezioni maggioritarie. E che talvolta hanno ricoperto persino la carica di assessore. A cosa sarà legato il ricordo del loro nome se non alla caduta rovinosa della città che hanno amministrato per non meno di 20 anni?

E’ vero, la prospettiva estremamente pragmatica che ognuno di loro può coltivare è quella di averla sempre fatta franca, di tenere in pugno numerosi elettori, di riuscire di legislatura in legislatura a mantenere intatti gettoni di presenza e potere. Ma, osservando le cose da un po’ più lontano, quale sarà il bilancio che la vita dovrà approvare per loro se non l’avere contribuito alla lenta ma inesorabile deflagrazione di questo sperduto avamposto della miseria umana?

Se sono rose… governeranno. (@FabioBonasera)

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