Fuggire dalla guerra, dalla fame, dalla miseria, dalle vessazioni.
Affrontare i rischi e i pericoli di un viaggio estenuante, dall’esito incerto, immaginando al di là dell’orizzonte una vita diversa, un futuro migliore per sé e i propri figli. Desiderava la pace la famiglia del piccolo Ahmed e invece, oltre quel mare, ad attenderli c’era la morte.
Circa un centinaio di persone questo pomeriggio si sono strette intorno alla piccola bara bianca illuminata dal sole di Ahmed, il bimbo di soli due anni giunto senza vita lo scorso 20 luglio sulle coste della città dello Stretto.
Una cerimonia semplice, intima e composta, scandita solo dalla lettura di alcuni versi del Corano, alla quale hanno preso parte cittadini comuni, rappresentati delle forze dell’ordine ed esponenti delle istituzioni.
Quasi al completo la giunta di Renato Accorinti, insieme al primo cittadino gli assessori Mantineo, Cucinotta, Perna, Signorino e Ialacqua, mentre a rappresentare il consiglio comunale cittadino c’era la presidente Emilia Barrile.
“Comprendiamo l’enormità del dolore che state provando e vi siamo vicini – ha esordito Accorinti rivolgendosi alla famiglia del piccolo Ahmed – vivere, in qualsiasi territorio, è un diritto di tutti, perché la terra non è solo mia o solo tua: la terra appartiene a tutti. Se la guerra vi costringe ad abbandonare le vostre case sappiate che noi vi accoglieremo a braccia aperte. L’occidente ha eretto barricate invalicabili, ha giocato alla guerra con le vostre vite ed io vi chiedo scusa per il male che vi abbiamo fatto. Il permesso di soggiorno è immorale – ha denunciato poi il primo cittadino – non può esserci un permesso per vivere, vi tendiamo le mani da fratello a fratello: vi vogliamo qui con noi, la vostra cultura arricchirà il nostro modo di vivere”.
Alla famiglia di Ahmed ed alla comunità mussulmana messinese è giunto, attraverso le parole di padre Gaetano Tripodo presidente della Caritas diocesana, il messaggio di solidarietà di Monsignor Calogero La Piana: “Dobbiamo essere artefici e costruttori di una società che faccia dell’amore, senza limiti né confini, il suo valore fondante – ha esortato il prelato – non possiamo definirci cristiani se di fronte al dramma vissuto dai questi fratelli il cuore si apre a sentimenti di fastidio e insofferenza. Coloro che non accolgono – ha ammonito Tripodo – non sono degni di essere definiti persone. Ahmed aveva una sola colpa: quella di essere nato dalla parte sbagliata di questo nostro mondo”.
Al termine della funzione, in un silenzio quasi irreale, la bara del piccolo Ahmed ha intrapreso il suo ultimo viaggio, verso una pace che nessuno potrà mai più violare. (@Emma_De_Maria)