Com’era ampiamente prevedibile, rientrando nel normale gioco delle parti, Pietro Lo Monaco non ha fatto alcun passo indietro in occasione dell’attesissima conferenza stampa convocata ieri pomeriggio al San Filippo. In mancanza di una presa di posizione del sindaco, che solo oggi dirà la sua sull’argomento, il patron non avrebbe potuto fare altrimenti all’indomani del comunicato shock mediante il quale annunciava il proprio disimpegno.
Cercando di fornire una chiave di lettura alla patata bollente del momento, generata dalla concessione dello stadio dal 6 luglio al 6 agosto 2015 ad una società catanese per l’organizzazione dei concerti di Vasco Rossi e Jovanotti, dovremo riuscire a guardare la questione da due ottiche differenti, calcistica e civica.
Sotto il primo punto di vista, a parere di chi scrive, la ragione è dalla parte di Lo Monaco che però con la sua reazione, sproporzionata e un pizzico meroliana, rischia di generare un effetto opposto rispetto all’auspicato riavvicinamento dei messinesi ai colori giallorossi.
Ad alcuni magari sembrerà strano che esploda un putiferio con un anno di anticipo, ma nel calcio la pianificazione è tutto, specie quando erano già arrivate rassicurazioni. Nel 99% dei casi con il pallone non si guadagna, perché un club va realmente incontro ad una serie interminabile di costi. Le amministrazioni sono chiamate a supportare chi si sobbarca l’onere di gestire la squadra cittadina: è sempre stato così, ma è anche vero che bisogna fare i conti con le pubbliche casse che, nello specifico, languono miseramente.
Ragionando da cittadini, ci sta che il Comune pensi a procurarsi degli introiti, ma considerate le cifre in ballo forse il gioco non valeva la candela, più che altro lo scoperchiamento del vaso di Pandora. È evidente infatti come la partita si giochi anche, se non soprattutto, in ambiti collaterali: il patron ieri ha parlato non soltanto del ritiro della famigerata delibera, ma anche della messa a norma del San Filippo e dell’assegnazione di aree a margine per realizzare campi sui quali allenarsi (o dell’eventuale utilizzo del Celeste), richieste alle quali non sarà facile ottemperare con facilità o in tempi brevi.
Nella disinformazione più totale che regnava ieri tra i tifosi, c’era chi parlava o sperava nel rilascio di una concessione a lunghissimo termine. Non risultano richieste in tal senso, fermo restando che mettere le mani stabilmente sulle aree degli stadi è quasi utopistico, lo stesso Lo Monaco sa perfettamente che per Messina non può rappresentare quello che gli Agnelli sono per Torino o i Pozzo, che lui in primis contribuì a rendere grandi, per Udine. Famiglie che hanno ottenuto dai relativi Comuni concessioni di 99 anni, non sarà certo questo il caso perché l’uomo della rinascita del calcio messinese conosce a menadito i precedenti, non essendo chiaramente il primo ad intraprendere un braccio di ferro, ai limiti del ricatto morale, con le istituzioni per i campi sportivi (e per le motivazioni più svariate): a Napoli recentemente l’eccentrico De Laurentiis aveva minacciato di portare Higuain e compagni a giocare in Inghilterra (prima si era fermato a Caserta), a Firenze i Della Valle si son battuti strenuamente per una cittadella che non ha visto la luce, Cellino per la grana stadi fu assicurato alle patrie galere e inoltre, scendendo di categoria e facendo riferimento agli ultimi episodi che vengono in mente, anche Venezia e Lucchese nei mesi scorsi han vissuto situazioni simili, tutte rientrate e mai concretizzatesi in effettivi strappi.
Insomma, patron Pietro è soltanto l’ultimo di una lunga serie ed è condivisibile che si sia sentito spiazzato da un’amministrazione che ha dimostrato, ancora, un evidente quanto imbarazzante gap comunicativo. Sia nei confronti dell’ACR che dei tifosi, ambedue le componenti avrebbero meritato una risposta in tempi più brevi. Accorinti continua a prestare il fianco ad attacchi scontati nella loro inevitabilità, attacchi forse dovuti agli errati suggerimenti elargiti da chi circonda il primo cittadino: in un anno il rodaggio andava portato a termine, anche a costo di rivedere determinate scelte concernenti il gruppo di lavoro.
Tornando a Lo Monaco, di certo paventare l’abbandono non è stato il jolly ideale per coagulare entusiasmo attorno alla sua creatura, specie considerato che noi messinesi per natura siamo calcisticamente inclini all’assuefazione: l’ultima annata della sciagurata epoca Franza disertavamo il San Filippo in B poiché ormai vedevamo nella serie A la nostra dimensione naturale (sic!). Figuriamoci se i punti interrogativi giganti possono aiutare a rinfocolare la passione…
Senza sottovalutare il fattore social network, passaggio ormai ineludibile della vita quotidiana di ognuno di noi: se i post di sostegno all’ex plenipotenziario direttore rossazzurro si tramutassero almeno per 1/3 in abbonamenti (tema caldissimo, toccato guarda caso in conferenza da PLM), il problema sarebbe presto risolto. Verosimilmente don Pietro metterebbe anche l’orgoglio da parte e rilancerebbe subito sul piano delle ambizioni. A ben guardare, però, ci troviamo nel pieno di un circolo vizioso: perché il tifoso dovrebbe abbonarsi se lo stesso destino della squadra è avvolto dal mistero? I conti non tornano, le strategie forse andrebbero rimodulate.
Al tirar delle somme, se pensiamo che sostanzialmente non l’ha fatto Ghirardi a Parma (torto ben più grave, non per mano degli enti locali però), non crediamo che Lo Monaco sia intenzionato realmente a lasciare proprio adesso che il fiore giallorosso sta sbocciando. Non per queste motivazioni per lo meno. Mollare non sarebbe da lui, che di calcio ne capisce come pochi (in Italia come in Sudamerica) e di imprenditoria anche, se è vero – come è vero – che a Catania ha lasciato in eredità un gioiello come il centro sportivo di Torre del Grifo, oltre al patrimonio tecnico poi dilapidato dal gatto e la volpe in salsa etnealbiceleste, al secolo Nino Pulvirenti e Pablo Cosentino.
L’auspicio è che entrambe le parti tornino sui rispettivi passi, cercando magari di trovare un punto d’incontro nella terra di mezzo. Sarebbe spiacevole assistere ad un festival delle occasioni sprecate, sulla pelle degli appassionati ovviamente. Il timore, fondato, è che la vicenda possa non risolversi a strettissimo giro di posta.
Piccola nota di colore. A far da contorno alla querelle, ci sono chiaramente le diverse social fazioni. Gli accorintiani per partito preso (sostenitori, amici, politici e politicanti populisti in cerca di like ecc…) sono arrivati ad intravedere nei famigerati concerti il riscatto di una terra intera, quando invece andrebbero avanzati già seri dubbi sull’indotto (sorvoliamo sui numeri dati in mattinata da Manfredi), al di là dei 40-45.000 euro che verrebbero versati nelle casse di Palazzo Zanca. Non memori del fatto che, tra il 2006 e il 2010, il San Filippo ha ospitato due concerti di Vasco Rossi, uno di Jovanotti (flop clamoroso) e uno di Ligabue. Tracce sensibili lasciate su questa nostra terra vilipesa e in cerca del riscatto? Qualche servizio sui tg e un paio di video archiviati sui cellulari pre smartphoniani.
Agli anti accorintiani (le cui file sono state appena rinforzate dal tifo organizzato), invece, non è parso vero di poter cavalcare comodamente un’onda così inaspettata. Concittadini che, dopo aver votato – come tutti – per 30 anni i soliti noti, hanno spianato i fucili sul professore di educazione fisica subito dopo la sua elezione. Come se in un solo anno il sindaco si sarebbe potuto travestire da Houdini e porre repentinamente riparo alla disastrosa situazione ereditata. Come se a Palazzo Zanca in tutte le stanze si remasse dalla parte di Messina…