RESET: TUTTO, TANTO, ALLA RICERCA DEL NUOVO; RIFLESSIONI A MARGINE DELLA PRIMA ASSEMBLEA

 

Tanta gente presente dicono i cronisti nei servizi. Tanti ex in attesa potremmo aggiungere. Le parole chiave, dell’incontro promosso  il 3 marzo all’ex Giardino Corallo dai fondatori del logo Reset, potrebbero essere queste: tutto & tanto. Abbiamo visto, nella nuova e poco elegante tensostruttura stile serra ricavata dentro lo storico cortile del Dante Alighieri,  politicanti  curiosi, sindacalisti impegnati, vecchi personaggi in cerca di novità. Ed anche tanti quasi giovani. Un aggregato sociale piuttosto variopinto che molto piace a certa informazione. Fa scena, sempre, la fisiognomica del nuovo.

Da quello che si è potuto capire, dalle interviste rilasciate dai fondatori del movimento, il solco del cambiamento dovrebbe essere rappresentato dalla “buona politica”. Forse. L’ing. Maio parla anche, con disinvoltura, di “movimento pulito e lontano dalla politica”. L’arch. Elena Mirenda dice di una “Messina già pronta al cambiamento”. L’avvocato Battaglia della necessità di “Fare qualcosa”. Insomma tante ovvietà. Quasi un inno sommesso per “licenziare i padreterni della politica” descritti da Stella e Rizzo.

Confondendo Politica ( cattiva) e Partiti. Non distinguendo le differenze che, vivaddio, ci sono sempre. Dando l’impressione insomma che la Politica, sempre, rappresenti il nemico e ad essa debba sostituirsi la tecnocrazia più o meno illuminata.

Un miscuglio tra le invettive di Grillo e le volgarità del quotidiano Libero, la retorica della casta.

Certo poi c’è stato  il corollario di belle parole. I “Progetti”. Quali? “La Città possibile”, come? I gruppi di lavoro dal “basso”. Ma non abbiamo sentito o letto analisi ai motivi che rendono impotente e inadeguata questa politica. Analisi dalle quali partire per ricominciare.

Il sistema elettorale per esempio. Le regole della Democrazia. La certezza del Diritto. Nessun riferimento ai monopoli in atto alla necessità della ridistribuzione della ricchezza. I miracolosi progetti in itinere, certamente strabilianti, da chi dovrebbero essere finanziati, accettati, approvati? I privati? Quelli che già oggi a Messina o in tutto il Paese determinano ogni cosa? Oppure lo Stato, gli Enti locali. Chi insomma dovrebbe realizzare questa “Città possibile”? 

Certo ci facciamo domande. Quelle che riteniamo utili e opportune a capire. Cosa serve a ripetere veline. Non è questa la funzione di una testata come “MessinaOra”. Le domande e i dubbi non significano contrarietà, avversità a qualcuno o qualcosa. I dubbi, i ragionamenti più che i bla,bla, servono a modificare, arricchire gli strumenti di valutazione. Piacerebbe capire cosa veramente vuole un movimento come quello messo su dall’arch. Tinaglia (nella foto) e dai suoi amici. Oggi, più che nel passato, c’è chi è molto interessato a profittare dalla crisi. Personaggi che manipolano le finanze, che costruiscono castelli di carta, che invece di lavoro pensano ai profitti e basta.

Francamente sembra ingenuo pensare, fermando il ragionamento a Messina, che i Nania, i Genovese, i D’alia, e tutti coloro che vivono di privilegi, di abusi di potere e non solo, di impunità, per chissà quale miracolo dovrebbero lasciare libero il campo a dei nuovi profeti.

La realtà, francamente, ci sembra un tantino più complicata. La necessità di cambiamento è indiscutibile. Ma non bastano le pur lodevoli intenzioni per avviare una prospettiva e un futuro seri, efficaci, riformatori e innovatori. L’anagrafe, la meritocrazia, dei fautori che sperano nel riscatto etc. non sono sufficienti. Siamo stufi e ormai impermeabili al cambiamento che poi lascia tutto immutato. 

Ci piacerebbe discutere di credito bancario diffuso per chi vuole crescere, di ordini professionali trasparenti e liberi, di pubblico impiego incentivato, di decentramento reale, di università rifondata.

Insomma di tutto quello che  sia necessario per fare  affondare  l’eterna “classe feudale”.

Oggi come ieri abbiamo “i ministri della malavita” ( cf Salvemini non Travaglio), i sindaci della corruzione eletti “democraticamente” attraverso la manipolazione elettorale e l’informazione deviata. Soltanto avendo idee chiare e onestà intellettuale si potrà voltare pagina.

Era il 1925 quando Salvemini, Ernesto Rossi, Carlo e Nello Rosselli fondarono la rivista “Non Mollare”. Denunciavano attraverso quel foglio privilegi, monopoli e ingiustizie sociali. Non sembra abbiamo avuto molti seguaci. (SARO VISICARO)

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