ALLA FELTRINELLI FOLCO QUILICI: “LA PUBBLICITA’ STA UCCIDENDO LA CULTURA IN TV”

“Al mare mi avvicinai un po’ per caso. Io amo la montagna, ma quando da ragazzo andai in Liguria rimasi incuriosito dal mare e pensai che sul mare l’uomo si è incamminato fin dall’antichità, ma sott’acqua ancora nessuno ci era andato. Questo mi attrasse molto, poiché il mondo subacqueo era vergine di narrativa e descrizione documentaristica e negli anni ’50 tutto ciò mi giovò molto”. Nasce così l’amore di un uomo, nato a Ferrara nella bassa pianura emiliana nel 1930, per il mare: una passione che ha reso Folco Quilici noto nel mondo per le sue produzioni documentaristiche dedicate alle distese blu e alla realtà sottomarina di tutto il pianeta. Dal primo lungometraggio “Sesto continente” nel 1954, vincitore del Premio Speciale alla Mostra del Cinema di Venezia, una lunga serie di successi fra i quali “Ultimo Paradiso” vincitore dell’Orso d’Argento al Festival di Berlino nel 1956, “Tikoyo e il suo pescecane” che ottenne il Premio Unesco per la Cultura nel 1961, “Oceano” trionfante al Festival di Taormina (Premio speciale) del 1971 e vincitore del David di Donatello per la regia nel 1972, “Fratello Mare” (Primo Premio al Festival Internazionale del Cinema Marino di Cartaghena nel 1974) e “Cacciatori di Navi” (Premio Umbria Fiction nel 1992). Per lui anche una robusta produzione di serie televisive dal 1956 al 2010, collaborazioni programmi come “Geo” e  “Il Milione” (rispettivamente per Rai 3 e Marcopolo) ed una gran quantità di pubblicazioni tra saggistica e narrativa; anche una nomination all’oscar nel 1971 per “Toscana”, uno dei 14 film per l’”Italia dal Cielo” alla quale presero parte anche nomi di grosso calibro come Calvino, Sciascia, Silone, Praz , Piovene e Comisso.

Mescolare la divulgazione con la spettacolarità del cinema è stato probabilmente il segreto di questo grande regista, come da lui stesso sostenuto nell’incontro con il pubblico di questa sera alla Feltrinelli: “I documentari di solito non vengono apprezzati poiché troppo noiosi o perché paradossalmente troppo corti rispetto all’interesse dell’ambito trattato. I miei però erano prodotti avventurosi che raccontavano il mondo, sprovvisti di un tono saccente ma ricchi di semplicità nel linguaggio comunicativo. Erano programmi piuttosto costosi, ma allora c’era tanta voglia di investire in queste attività ed il ritorno, in termini di audience ed economici, non era indifferente”. Duro poi il profilo tracciato da Quilici sulla televisione culturale dei giorni nostri: “I programmi culturali stanno svanendo. C’è poco mercato, si tratta di un’infezione nata con la pubblicità: ai miei tempi era discreta, oggi è pervasiva e in tv non si può più vedere nulla. Da questo punto di vista il libro può rappresentare un’ancora di salvezza”. Non meno forte il giudizio sui giovani ed il loro rapporto con la cultura: ”Da parte dei giovani c’è un disinteresse pazzesco nei confronti del passato, ma questo credo sia soltanto una conseguenza dell’imbarbarimento culturale del quale essi sono le prime vittime, seppur non coscienti”. [ROBERTO FAZIO]

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