IL METODO NANIA: ACCUSARE DAL SENATO CHI DENUNCIA, PER EVITARE I CONTROLLI SUI POSSIBILI CONDIZIONAMENTI MAFIOSI NELL’AFFAIRE PARCO COMMERCIALE DI BARCELLONA PG

 

L’affaire Parco Commerciale di Barcellona Pozzo di Gotto arriva in Parlamento, dove il vicepresidente del senato Domenico Nania interroga il Ministro degli Interni, non potendo accettare il provvedimento con cui il prefetto Alecci, il 9 dicembre del 2011, avvertiva la necessità di verificare possibili condizionamenti della criminalità organizzata nell’attività amministrativa del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto.

La difesa del senatore, che teme per le eventuali conseguenze politiche del provvedimento  a  4 mesi dal rinnovo del consiglio comunale previsto per la primavera del 2012, ripercorre i fatti contestati sulla redazione del nuovo PRG, delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA)  e delle Norme tecniche di attuazione delle previsioni urbanistiche del settore commerciale ( NTAC), nella localizzazione del parco commerciale e nell’inserimento dei terreni di contrada Siena, che sono state al centro di una denuncia presentata dalle associazioni antimafia “Rita Atria”  e “Città Aperta”, “secondo principi – che a detta del senatore –  non è chiaro dove e come vengano ricavati e secondo cui i privati non avrebbero potuto presentare un PRP”.

La sgradevolezza dell’interrogazione (che è possibile leggere per intero al seguente link) è dovuta non solo al linguaggio inquietante usato dal senatore a difesa dell’operato del cugino Sindaco Candeloro Nania, ma per come il senatore “scandalizzato” chiede al ministro “se risulti che esiste una sola città in Italia, dove si è disposto, come nel Comune di Barcellona PG, l’atto di Accesso su tutti gli atti amministrativi, non in funzione delle relazioni annuali sul controllo del territorio, riguardanti gli Enti locali, redatte da Questura, Arma dei Carabinieri e Guardia di finanza, ma di articoli e interrogazioni dal contenuto distorto ed errato”.

Gli articoli e le interrogazioni “dal contenuto distorto ed errato” sarebbero quelli di Antonio Mazzeo, divenuto una vera e propria ossessione per il senatore Nania, che durante la sua relazione, in cui più volte lo accusa di “straparlare”, lo nomina ben otto volte. Una di queste per definirlo, con l’associazione antimafia Rita Atria (ma la parola antimafia nel documento in effetti non compare), come “suggeritore locale”  di un esponente politico palermitano di cui, evidentemente per rispetto di “casta” non fa il nome.

Ecco uno stralcio esemplificativo di come il sen. Nania ha affrontato la questione in Parlamento:

“Le sollecitazioni dell’esponente politico palermitano e dei suoi “suggeritori locali” per sciogliere il Consiglio comunale della Città di Barcellona PG si basano tutte su presupposti politici e sul citato teorema come si evince dal commento di Antonio Mazzeo, dove si affermava: “Scoraggiante l’impasse che ha caratterizzato sino ad oggi la Prefettura di Messina, nonostante le denunce stampa e la circostanziata ricostruzione” (circostanziata, ovviamente, perché scritta dallo stesso Antonio Mazzeo) “sull’anomalo iter progettuale del Parco Commerciale di Barcellona abbiano fornito sufficienti elementi per istituire una commissione d’indagine ed accertare l’esistenza di eventuali condizionamenti esterni sulla vita amministrativa locale”.

Insomma il nome di Lumia, che invece il senatore fece qualche mese fa durante una conferenza stampa seguita a quella dell’associazione Rita Atria, parlando di “teorema LAM (Lumia, Atria, Mazzeo)”, non compare nella lunga interrogazione, che resta, per l’appunto, inquietante.

Il senatore Nania, infatti,  espone ad altissimo rischio di ritorsione coloro i quali con il loro impegno antimafia svelano intrecci e legami. Con dei toni che nulla avrebbero a che vedere con un normale,  pur se evidentemente spiacevole per il senatore,  controllo per verificare se, alla luce della procedura adottata per la localizzazione di un piano commerciale, l’ azione del Comune sia stata e sia condizionata dalla criminalità organizzata.

L’attacco personalizzato di un Vicepresidente del Senato ad un giornalista, non può che essere considerato intimidatorio, visti i toni e le circostanze che lo hanno determinato: per il senatore infatti, resta incomprensibile come mai, in una democrazia, la denuncia giornalistica abbia la stessa dignità di una “riservata” della Prefettura, della Questura o dei Carabinieri.

Eppure è questo il compito dei giornalisti: far conoscere ai lettori quelle zone d’ombra, altrimenti “riservate”. 

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