La cosa più difficile per me quando recensisco un film è cercare di dividere il giudizio soggettivo dall’analisi oggettiva del film. Mi capita alle volte di entusiasmarmi per delle cagate imperiali, ed è necessario far passare del tempo dalla visione per riuscire a cogliere i difetti di un film, gli errori, le incongruenze, e via dicendo. Sono passate 24 ore dalla visione di The Wolf Of Wall Street ed ancora l’entusiasmo non è minimamente scemato; e più passa il tempo più mi accorgo di quanta carne al fuoco ci sia, di quanti messaggi, più o meno sottili ci siano, di quante invenzioni registiche, di quanta autorialità ci sia in 3 ore. E quindi ho fatto una cosa che non faccio mai per non rischiare di essere influenzato da altri pareri prima di codificare il mio: sono andato a zonzo a leggere altre recensioni, soprattutto di gente che di Cinema ne capisce (no, non parlo né di Natalia Aspesi né dei tizi che a turno scrivono di cinema sul Fatto Quotidiano): qualche critica in effetti l’ho trovata, tutta basata su un unico punto: il film è sì sopra le righe, ma alle volte troppo eccessivo. Io la penso diversamente: il film è eccessivo esattamente come eccessive sono state le vite di questi individui, che hanno sfruttato un sistema malato, che consente di arricchirsi sul niente, di questi farabutti che non sono riusciti a darsi un limite, accumulando più soldi di quanti avrebbero potuto spenderne in 10 vite, sulle cui spalle ricade la responsabilità della crisi che stiamo vivendo, che è figlia dello yuppismo sgangherato e senza freni degli anni 80, e che già Oliver Stone ci aveva raccontato in tempi non sospetti con Wall Street (e il cui Gordon Gekko è opportunamente citato durante il film). In altre parole, l’eccesso del film è coerente con la storia che sta raccontando, e quindi non ho mai avuto l’impressione che andasse oltre il limite, che è quello appunto della Storia; è sempre al suo servizio, mai una forma di autocompiacimento (come fa qualche altro regista fin troppo osannato). Tutto questo per dire che nonostante i miei sforzi non riesco a trovare un difetto che sia uno.
La struttura del film è quella sia di Quei Bravi Ragazzi che di Casinò, anche se di fronte alla pochezza del mondo raccontato qua, i mafiosi raccontati nei due film citati sembrano dei boy scout durante una lezione di catechismo; quindi c’è una voce off che ci racconta che succede, e questa è l’unica cosa che non mi piace, anche se in questo caso ammetto che la cosa ha un senso sia narrativo che metacinematografico. Leonardo Di Caprio interpreta Jordan Belfort, uno dei broker più di successo della storia di Wall Street, che in realtà è uno dei personaggi più negativi mai visti: non perché sia cattivo, di cattivi ne abbiamo visti abbastanza da sapere che un minimo di spessore è necessario per essere cattivo: ma per la sua totale mancanza di valori, che unita alla sua innegabile capacità di venditore, lo rende un uomo ricchissimo e senza alcun freno: è dipendente da ogni tipo di droga esistente, da ogni tipo di perversione sessuale, da ogni tipo di eccesso, ma in realtà dipende da una sola cosa: il denaro. E il mondo in cui vive, i personaggi che gli ruotano attorno, sono suoi cloni mal riusciti, ognuno dei quali riesce ad essere estremamente sgradevole a modo suo, ed ognuno dei quali ha come unico obiettivo quello di gonfiare le proprie tasche in barba alla povera gente che si fida di loro; tutto questo “capitale umano” è talmente brutto, nonostante i bei vestiti e le macchine di lusso, che persino il peggior spacciatore non vuole avere niente a che fare con loro (interpretato da Jon Bernthal, che forse conoscete meglio come Shane Walsh di The Walking Dead, mai visto così in parte).
Il premio oscar è un premio un po’ del cazzo, diciamocelo, e Leonardo Di Caprio avrebbe dovuto prenderlo altre volte, e molto prima; ci prova da anni, questa potrebbe essere l’occasione giusta. La verità è che interpreta il ruolo del protagonista come se ci dicesse :”a me dell’Oscar non me ne importa nulla, guardate qua che numeri riesco a fare, pivelli“. Tra l’altro è diretto benissimo, come sono diretti benissimo tutti gli altri: Jonah Hill (mai visto così bravo), e soprattutto Matthew McConaughey, che in 10 minuti ci regala un’interpretazione memorabile (come dice uno dei miei punti di riferimento: “non esistono piccoli ruoli, esistono piccoli attori“).
E Scorsese, ragazzi, Scorsese: gira da Dio, fa quello che vuole, a 70 anni fa un film che Tarantino se lo sogna! E non vi dico niente della favolosa citazione che ha fatto fare a Di Caprio di Titanic che ho già spoilerato troppo per i miei gusti.
Concludo citando un blog che seguo, e che fareste bene a seguire anche voi (lo trovate qui): se tutto va bene qua siamo nella metà alta della sua filmografia, e parliamo di una filmografia in cui anche la metà bassa piscia in faccia alla metà alta di quasi tutti gli altri.
(Voto: 9/10)
(U.P.)