Di Domenico Mazza Le recenti elezioni regionali in Abruzzo hanno decretato la crisi di consenso dei due partiti che più hanno rappresentato il populismo in Italia: Lega e Movimento Cinque Stelle. È un dato che va attentamente esaminato.
Come ricorderete, i due partiti “protesta” trionfarono alle elezioni parlamentari del 2018, e nella persona dello sconosciuto Giuseppe Conte si allearono per formare il primo governo populista della storia europea. Populista, non sovranista.
Mentre populisti possono essere, almeno nell’attuale contesto internazionale, soltanto determinate forze politiche sorte per uno scopo rivoluzionario o “devoluzionario” come fu per la Lega Nord di Bossi alla fine degli anni Ottanta, il sovranismo è un concetto più elastico. Per intenderci: sovranista è tanto Giorgia Meloni quanto l’ex premier britannico Borsi Johnson. Nel sovranismo il populismo è una costola, non può dirsi lo stesso argomentando al contrario.
Il sovranismo è il nazionalismo del Duemila, che si contrappone alla globalizzazione e alle sovrastrutture internazionali e si afferma facilmente nell’attuale contesto multipolare; populismo è invece lo spirito della storia del Novecento. Populista fu Peron, populista fu persino Pietro Nenni, populista è Giuseppe Conte, autoproclamatosi tale di fronte all’Assemblea dell’Onu nel settembre 2018: «Vorrei ricordare che sovranità e popolo sono richiamati dall’articolo 1 della Costituzione, ed è in quella previsione che interpreto il concetto di sovranità e il suo esercizio da parte del popolo».
Ma se la costituzionalizzazione del “populismo-sovranismo” di Conte appare tutt’al più un motivo di confusione, il sovranismo di Giorgia Meloni è un’arma affilata. Fratelli d’Italia ha ormai superato i principi del piccolo partito thatcheriano che era (4,26% nel 2018) e abbraccia quelli del partito che è, quello del 30%. Grazie a questo ampio consenso si prefissa di tagliare come un’accetta lo stato profondo che è radicato nel Paese fin dagli anni Settanta: la “doppia-cultura” degli intellettuali di sinistra e dell’assistenzialismo “cattocomunista”. Ma il sovranismo meloniano rimane pur sempre un residuato del Novecento. Infatti, si ravvisano pochissime novità nel disegno politico di Giorgia Meloni, a partire dalla compagine di governo, riciclata dal berlusconismo e dal giustizialismo finiano. L’unica ala di salvezza per Giorgia Meloni sarà il centro, e quindi moderarsi progressivamente fino a berlusconizzare il centrodestra. Non è una considerazione di poco, ma si giunge a tale conclusione con dati alla mano. Berlusconi, per anni considerato populista, ha lasciato in eredità un partito che secondo tutti era destinato a sparire dopo la sua morte, invece rappresenta ancora una proposta politica reale perché si rivolge al fulcro del Paese: i ceti medi e i pensionati.
Che lo sbocco naturale del sovranismo sia il centrismo?
L’altro dato che le elezioni abruzzesi sanciscono, in controtendenza rispetto a quello europeo, è la crisi del populismo italiano.
Mentre il populismo avanza in Europa inarrestabile, in Italia arretra sui due fronti di destra (Lega) e sinistra (M5S). L’asse giallo-verde che guidò per 12 mesi il Paese con un sostegno plebiscitario, tanto da far montare la testa al leader leghista Salvini, fautore della caduta del primo governo Conte alla vigilia della Pandemia, sembra ormai un lontano ricordo. Questo fallimento è da ricondurre alla fragilità di pensiero delle leadership e all’azzardo cosiddetto meridionalista, una strategia politica di stampo egemonica, vincente nel breve periodo, catastrofica nel lungo.
La Lega di Salvini, infatti, da partito del Nord si è trasformato in partito nazionale che governa con ministri dell’Alta Italia grazie ai voti dei cittadini sardi, calabresi e siciliani (i ministri leghisti nei governi Conte I, Draghi e Meloni sono tutti settentrionali).
Un ragionamento simile va fatto nei confronti del Movimento di Grillo. Questi, nel 2013, fu votato soprattutto da giovani delusi provenienti dalla sinistra. Ricordo ancora uno dei punti del programma di governo di Grillo & Co: la liberalizzazione delle reti internet, la democrazia diretta attraverso la rivoluzione digitale e tante altre misure “pseudopannelliane” e terzomondiste. Oggi, invece, si rivolge al proletariato siculo-napoletano promettendo un reddito di cittadinanza che si somma però all’assistenzialismo già esistente.