Il 28 dicembre di 114 anni fa, un fortissimo sisma e un maremoto spazzavano via Messina e Reggio Calabria, le città dello Stretto.
Un terribile boato alle 5.20 di mattina: così è iniziato uno degli eventi sismici più catastrofici del XX secolo. Il terremoto di magnitudo 7,1 Mw (XI scala Mercalli) distrusse le città di Reggio Calabria e di Messina nell’arco di 40 secondi. Qualche ora dopo, uno tsunami, con onde alte fino a 13 metri, si abbatté sulle coste, sterminando coloro che erano scappati dall’entroterra per sfuggire al crollo degli edifici. Con un totale di 120mila vittime, è considerata una delle più grandi catastrofi naturali in Europa a memoria d’uomo.
Il bilancio delle vittime fu gravissimo, peggiorato dai ritardi nei soccorsi. L’evento ebbe però una vasta eco in Europa: il 29 dicembre navi russe e inglesi accorsero per aiutare i superstiti, giungendo prima dei rinforzi italiani. Nelle settimane successive si mobilitarono anche unità da guerra francesi, tedesche, spagnole, greche e di altre nazionalità.
Messina, che all’epoca contava circa 140mila abitanti, ne perse 80mila, e Reggio Calabria registrò 15mila morti su una popolazione di 45mila persone. Contando anche le vittime della provincia, si raggiunse la cifra di 120mila morti, 80mila in Sicilia e 40mila in Calabria. La coda del terremoto fu lunga: le scosse si susseguirono nei mesi successivi fino a marzo 1909. Nei comuni colpiti le persone morirono senza distinzioni: a Messina persero la vita tre deputati e metà del consiglio comunale, oltre che tre quarti degli agenti di polizia. Crollò completamente l’Ospedale Civico: su circa 200 tra pazienti, medici e infermieri, sopravvissero solo in 11. In questa situazione fu quasi impossibile mantenere l’ordine pubblico: nella città siciliana, ad esempio, una banda di detenuti evasi penetrò nel caveau della Banca d’Italia e bruciò l’archivio del Palazzo dei Tribunali.
Altissimo fu poi ovviamente anche il numero dei feriti e dei danni materiali. Secondo i resoconti dell’epoca, vennero interrotte tutte le vie di comunicazione, danneggiati i cavi elettrici e le tubature del gas, sospesa l’illuminazione stradale. Le fughe di gas provocarono esplosioni e incendi che causarono ulteriori vittime. Negli anni successivi si rese necessario ricostruire intere città: basti pensare che a Messina il solo maremoto fece crollare il 90% degli edifici. Anche il futuro Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo assistette al disastro, perché il padre capostazione era stato trasferito a Messina tre giorni dopo l’accaduto. Nella sua poesia Al Padre descrisse la distruzione vista dai suoi occhi di bambino: «Dove sull’acque viola era Messina, tra fili spezzati e macerie, tu vai lungo binari […]. Il terremoto ribolle da due giorni, è dicembre d’uragani e mare avvelenato». Le notizie si diffusero lentamente nella Penisola nei giorni successivi.
Il Corriere della Sera, il 30 dicembre, titolò: «Ora di strazio e di morte. Due città d’Italia distrutte. I nostri fratelli uccisi a decine di migliaia a Reggio e Messina».