di Veronica Pagano – Salvatore Cuffaro: il leader della DC Nuova interdetto perpetuamente dai pubblici uffici per aver favorito Cosa Nostra. Totò Cuffaro ha scontato quasi 5 anni in carcere (rispetto ai 7 della condanna), ammettendo i propri errori.
E poi c’è lui: Marcello Dell’Utri, condannato in via definitiva per essere stato il mediatore tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi. Per lui: 7 anni di carcere (scontati 5, di cui 1 ai domiciliari per motivi di salute) e interdizione perpetua dai pubblici uffici per concorso esterno in associazione mafiosa. Non ha mai ammesso le proprie colpe.
Incaricato dallo storico leader di Forza Italia a mediare tra Gianfranco Micciché e Nello Musumeci, l’ex senatore Dell’Utri è anche intervenuto per facilitare la convergenza del centrodestra su Roberto Lagalla alle amministrative di Palermo. Un ruolo certamente atipico per chi continua a dichiarare di non voler più fare politica.
Basta con l’antimafia delle parole
Sia chiaro: Dell’Utri e Cuffaro hanno saldato il proprio conto con la società. Essi avranno pure il diritto di impegnarsi in politica, ma attenzione ai segnali che si rischia di mandare. Dalla politica tutta (incandidabili e non, destra e sinistra) serve una posizione chiara e netta contro la mafia, che non sia fatta di gesti plateali o dei soliti discorsi fatti in doppiopetto alle ricorrenze annuali o sotto campagna elettorale. Per quanto mi riguarda, dell’antimafia delle parole ne ho le tasche piene.
Non basta che Roberto Lagalla – dopo le varie polemiche (più o meno condivisibili) delle ultime settimane – solo ieri abbia deciso di dichiarare la propria estraneità al sistema mafioso. Non bastano nemmeno le solite citazioni ai nostri morti ammazzati che Nello Musumeci continua a fare a furor di applausi, anche dopo aver incontrato Dell’Utri in un albergo di lusso palermitano per ottenere l’endorsement alla sua ricandidatura, incontro sul quale il Governatore ben si guarda dal pronunciarsi.
Servono programmi concreti che non siano fatti di promesse vaghe o impegni generici. Servono a Palermo, come a Messina, fino anche alla Regione. Quanti ne abbiamo visti di così alle scorse elezioni? Quanti ne vedremo in questa e nella prossima tornata elettorale?
Eppure sembra che tutto questo non basti a noi siciliani per indignarci. Forse aveva proprio ragione Peppino Impastato quando temeva che non ci saremmo accorti più di niente… o forse, possiamo ancora recuperare la nostra capacità di indignarci.