di Palmira Mancuso – Ha sei mesi, ed è in braccio alla mamma che cerca riparo alla stazione di Messina. E’ la notte fredda tra il 13 e il 14 dicembre, quando alla Casa di Vincenzo si registra l’ennesima anomalia: per la piccola e per sua madre le porte resteranno chiuse.
Facciamo un passo indietro: è passata la mezzanotte quando gli agenti della Polfer hanno notato la madre con la figlioletta, e dovendo seguire le disposizioni che vietano di far accedere alla stazione durante le ore notturne, cercano di aiutare la donna a trovare una sistemazione. La prima, inutile, telefonata è quella alla sala operativa dei Vigili Urbani, che liquidano velocemente la faccenda suggerendo la Casa di Vincenzo.
E così la madre, munita di green pass (che come sappiamo basta ad accedere ai luoghi chiusi) raggiunge il centro di accoglienza, da tempo ormai al centro di polemiche per la discutibile gestione legata alla Messina Social City e a incarichi dirigenziali al limite della parentopoli, ma resta fuori. L’operatore di turno le comunica che serve il tampone.
Dunque tutti gli ospiti della casa di Vincenzo, nonostante la vaccinazione, devono entrare previo tampone? Decisione discutibile. Ma in ogni caso: perchè non è stata chiamata dagli stessi operatori della casa di Vincenzo l’unità di strada e la struttura ben finanziata proprio a questo scopo? I poveri non hanno certro “fascia oraria”, tantomeno la hanno le emergenze.
Le domande sono molte. Ma la realtà è che questa madre e la sua piccola di sei mesi non hanno potuto fare altro che rimanere fuori al freddo, fino a quando un connazionale della donna le ha offerto di raggiungere una “casa” in attesa di prendere il treno alle prime luci del mattino.
Ad accompagnarla sui binari gli stessi agenti che hanno potuto fare ben poco per alleviare i disagi della donna e di sua figlia: una abbondante colazione e il rossore di una città che spende, spande, ma poi lascia fuori chi nell’emergenza chiede aiuto.