Vangelo Ora: Non facciamoci rubare la gioia

di Fra Giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,6-8.19-28)
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Oggi la tematica di questa terza domenica di Avvento è la gioia. La gioia di essere Figli di Dio che ci ha consacrati con il Battesimo, gioia per essere fratelli di ogni essere umano, gioia per la vita, per la famiglia, per le mete conseguite, gioia nel donarsi gratuitamente… ma soprattutto gioia per ciò che ognuno è. Quando prendiamo coscienza di ciò che siamo ed entriamo in vortice di gratitudine al Signore  siamo davvero persone gioiose.

Sono tanti i motivi che ci inducono a privarci o lasciarci privare del grande dono della gioia, ma il Signore che è la vera gioia non ci priva mai di se stesso, ce lo ricorda l’apostolo Paolo: “Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto: rallegratevi. Il Signore è vicino”.

Papa Francesco in Mozambico nel settembre del 2019, così si rivolgeva ai giovani: “Siete una promessa di vita, che porta in se’ una tenacia, che non dovete perdere ne’ lasciarvi rubare. Come realizzare i sogni, come contribuire a risolvere i problemi del Paese? Mi piacerebbe dirvi: non lasciate che vi rubino la gioia. Non smettete di cantare e di esprimervi secondo tutto il bene che avete imparato dalle vostre tradizioni. Che non vi rubino la gioia!”.

Il profeta Isaia rivolge un forte appello a recuperare gioia e speranza in noi e nel mondo, perché viene il Signore per portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore.

Ma pensando tutto ciò che è accaduto in questo 2020, come possiamo parlare di gioia?

Non possiamo farci rubare questo dono da niente e da nessuno, è il Signore il fondamento del nostro stare bene, dell’accettazione di ciò che siamo e del luogo dove viviamo. La gioia cristiana consiste, infatti, nell’astenersi da ogni specie di male e cercare la pace sempre, perché Cristo è venuto sulla terra a portare pace, come ci ricorda Giovanni Battista, uomo mandato da Dio per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.

Un tipo strano questo Giovanni: è un sacerdote, ma non frequenta il tempio. È un profeta, ma non cerca le folle, anzi, fugge nel deserto. È cercato e amato, ma sembra respingere, infastidito, quanti lo cercano con insistenza.

Giovanni l’evangelista, probabilmente suo discepolo, dice di lui che è un testimone. Il testimone parla di qualcun altro, di qualcos’altro. Non di sé.

Questo è un grande insegnamento per noi sempre in cerca di visibilità e riconoscimento. Oggi se non hai un titolo, una mansione importante, se non vesti in un certo modo, se non frequenti certi ambienti raffinati o comunque che fanno tendenza, se non ti atteggi a chi “non deve chiedere mai”… oggi non conti nulla.

Giovanni ragiona per sottrazione e a me personalmente mi manda in crisi.

Chi sei? Cosa dici di te stesso?  E se Rivolgessero a noi questa domanda? Giovanni inizia a dire ciò che non è. Non è il Cristo non è il profeta, non è Elia. È un uomo gioioso di fare le sue scelte conformi alla volontà di Dio, scrutando attraverso il silenzio e la solitudine i segni dei tempi.

Poteva ben dire si sono io il Cristo, gli avrebbero creduto, ma non vuole sentirsi “padreterno”. Lui è semplicemente un testimone di chi è più grande di lui. Per accogliere il re dobbiamo smetterla di crederci re. Se vogliamo incontrare Dio, dobbiamo smetterla di essere dio di noi stessi. La vita di Giovanni è in riferimento ad altro. Ad un Altro.

Verrebbe da dire allora se non sei il Cristo, il profeta… chi sei?

Cominciamo a sottrarre. A togliere i titoli, i riferimenti agli altri (figlio di, moglie di, parroco di…), a togliere i ruoli, il mestiere. Togliamo per ritrovare l’essenza sotto la crosta. A volte non lo facciamo perché siamo terrorizzati da ciò che potremmo eventualmente incontrare. Un noi impresentabile.

Giovanni potrebbe dire tanto di se: è un cercatore di Dio radicale e coerente. Ma non gli interessa. Ha radunato attorno a sé migliaia di penitenti. Dettagli. È un grande profeta, come Israele non ne vedeva da secoli. Irrilevante.

È semplicemente voce imprestata alla Parola, anzi al Verbo che si fa carne, una voce che grida. Che non sussurra, che non blandisce o manipola.

È ciò che dobbiamo essere noi, voce che grida la Parola ascoltata, meditata, incarnata nella nostra vita e vissuta per poi essere voce di chi non ha voce. Avere il coraggio di osare, di donarci, di gridare con la nostra vita le ingiustizie, essere capaci di denudarci davanti a Dio, essere capaci di semplificare il nostro pensiero e il nostro desiderio, e non cercare altrove la nostra identità, di non vivere appesi al giudizio e al riconoscimento altrui.

Solo se abbiamo il coraggio di essere noi stessi, di gettare le maschere, di smetterla di definirci, solo se siamo capaci di osare per andare o tornare all’essenziale, di ascoltare la Parola dentro le voci, anche quelle gridate e ruvide. Solo se abbiamo il coraggio di diventare noi voce per la Parola che vuole raggiungere tutti coloro che abbiamo intorno, riusciremo a far nascere e rinascere Cristo in noi.

E allora nonostante il virus, nonostante le difficoltà economiche… nonostante tutto ciò che non va, sarà Natale del Dio Bambino che ancora una volta ci sorride e ci dice “Non farti rubare la gioia”.

 

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