Bisognerà attendere qualche giorno per conoscere le decisioni del Tribunale del Riesame che ieri ha valutato le discordanze di opinioni tra Procura e Gip per quanto riguarda le misure restrittive emesse a luglio, nell’ambito dell’inchiesta sui “Corsi d’oro” che hanno scoperchiato le anomalie di una gestione “familiare” e clientelare dei corsi di formazione professionale.
La Procura infatti ha presentato ricorso in merito alla decisione del Gip Giovanni De Marco di concedere solo i domiciliari e non l’arresto in carcere ad alcuni indagati o addirittura di non emettere alcun provvedimento restrittivo per altri.
Lo scorso 8 agosto i giudici del tribunale del riesame avevano confermato gli arresti domiciliari per tutti gli indagati, ieri i giudici hanno valutato le motivazioni ravvisate dalla Procura che aveva chiesto l’arresto in carcere per alcuni indagati ravvisando il pericolo di inquinamento delle prove, mentre il gip De Marco non ritenne di dover procedere con la carcerazione e dispose solo i domiciliari per Elio Sauta, Graziella Feliciotto, Chiara Schirò, moglie dell’on. Francantonio Genovese, Concetta Cannavò, Natale Lo Presti, Nicola Bartolone, Carmelo Capone, Natale Capone, Giuseppe Caliri e Daniela D’Urso moglie dell’on. Giuseppe Buzzanca.
In particolare sono state vagliate le posizioni di alcuni indagati che hanno ottenuto i domiciliari: Elio Sauta, Natale Lo Presti e Melino Capone. Discussa anche la posizione anche degli indagati per i quali il gip De Marco non aveva ravvisato gli estremi per gli arresti domiciliari e cioè Elena Schirò, Salvatore Giuffrè e Daniela Pugliares.
Le conclusioni dell’udienza si conosceranno nei prossimi giorni, ma non saranno immediatamente esecutive fino all’esito di un ricorso in cassazione già annunciato dagli indagati per i quali di dovesse decidere la carcerazione.
Ricordiamo che a settembre sono state depositate le motivazioni dei giudice del riesame che hanno confermato i domiciliari ed i sequestri dei beni per gli indagati arrestati a luglio, confermando totalmente l’impianto accusatorio della Procura e l’esistenza di una associazione a delinquere che gestiva i meccanismi con cui venivano guidati alcuni enti di formazione.
Unico punto delle difesa accettato è stato quello di “cancellare” il reato di peculato per farlo “assorbire” alla truffa.
Secondo i giudici del Riesame “Il comportamento degli indagati era diretto a realizzare un meccanismo fraudolento articolato, basato sull’istituzione di società tutte riconducibili al medesimo centro d’interesse economico. Le onlus concludevano i contratti di locazione o di noleggio, di volta in volta necessari per lo svolgimento della propria attività, con società sempre riconducibili nella gestione e nel capitale sociale ad altri coindagati legati da stabili rapporti, anche di natura familiare con gli stessi legali rappresentanti delle onlus ed il tutto praticando prezzi gonfiati ed esorbitanti”.
La rete di onlus tra Lumen, Aran e Ancol era votata secondo il Riesame a «stipulare contratti a condizioni fuori mercato, allo scopo di consentire agli indagati stessi di introitare per sé i maggiori finanziamenti pubblici così ottenuti».