di Fra Giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
La sera di quel giorno i discepoli, coloro che avevano assistito alle meraviglie fatte da Gesù, ma nello stesso tempo avevano assistito alla sua morte in croce, se ne stanno nascosti, chiusi, presi da paure che forse non sono così diverse dalle nostre.
La riflessione biblica di Papa Francesco tenuta in una Piazza San Pietro deserta, in un momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, iniziava così: «“Venuta la sera”. Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi». Il Santo Padre aggiungeva: «Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa», la pagina che stiamo per commentare dice che i discepoli del vangelo di questa domenica non hanno ancora pace – hanno ancora paura».
Paura di non ritornare alla normalità o forse a ciò che noi riteniamo normale. “Paura del proprio simile. Paura del vicino di casa. Paura di chi mette in crisi le nostre polizze di assicurazione. Di chi mette in discussione, cioè, i nostri consolidati sistemi di tranquillità, se non di egemonia. Paura dello zingaro. Paura dell’altro. Paura del diverso. Paura dei Marocchini. Paura dei Terzomondiali. Paura di questi protagonisti delle invasioni moderne, che se non chiamiamo barbariche è soltanto perché ci coglie il sospetto che questo aggettivo debba spettare a noi cosiddetti popoli civili, che, dopo duemila anni di cristianesimo, siamo ancora veramente incapaci di accoglienze evangeliche”. Così affermava Don Tonino Bello, nel 1988. A quanto pare non è cambiato nulla da quando il Vescovo di Molfetta pronunciava questo discorso.
Il Signore in questa domenica ci dona l’antipaura: il dono dello Spirito. Ci fa parlare un linguaggio nuovo, quello del Vangelo. Come a Maria e a Giuseppe dice ad ognuno di noi: “Non temete, io sarò con voi”.
Come i discepoli anche noi siamo arroccati sulla difensiva e i motivi sono tanti. Ma non è più tempo di chiusure. È opportuno uscire dai nostri schemi, aprire le porte del cuore e avere la consapevolezza che se lo vogliamo possiamo anche noi essere pieni di questo Spirito che riempie la terra, cosi come proclama il salmista.
Lo spirito di Dio che è relazione, parte dalla pace che Gesù dona entrando in quel luogo serrato. La pace, lo sappiamo, non è semplicemente assenza di conflitti ma è saper testimoniare con la vita il messaggio evangelico, perché la pace non è tanto un problema morale, quanto un problema di fede. Perché, più che il nostro agire, tocca il nostro essere di persone “conformate a Cristo. Don Tonino Bello diceva che «per seminare pace globalmente, nella convinzione che il miglior modo per prevenire la violenza e ogni genere di guerre è prendersi cura dei bisognosi e promuovere la giustizia. Infatti, se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra. La pace, perciò, si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, là dove artigianalmente si plasma la comunione».
Dopo aver donato la pace, Gesù “alitò” sui discepoli. L’ evangelista Giovanni usa un verbo utilizzato per la prima volta nel libro della Genesi, durante il racconto della creazione dell’uomo e della donna. Gesù soffiò su di loro e disse: ricevete lo Spirito Santo.
Ramsey Michaels, teologo americano noto per il suo commentario su Giovanni, sottolinea che l’azione di Gesù non è solo quella di “soffiare sopra”, ma “respirare”. Gesù, traduce l’esegeta, “respirò”, perché è di nuovo vivo! È la prova che non è un fantasma, e infatti a lui non basta mostrare loro le mani e il costato: Gesù respira. Quante volte abbiamo sentito parlare in queste settimane passate, in tempo di pandemia, di dispnea, di difficoltà di respirare: Gesù mostra di essere tornato a respirare, dopo che aveva “emesso lo spirito”, come abbiamo sentito nelle letture della Settimana Santa.
Dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo i discepoli non hanno avuto più paura, hanno annunciato che Gesù è il Signore ad ogni umana creatura.
È attraverso la preghiera, l’ascolto della Parola nel silenzio e nella solitudine, è tramite l’Eucarestia e il sacramento della riconciliazione che noi instauriamo una vera relazione con il Signore. È grazie al dono del Suo Spirito che siamo capaci di testimoniare il suo amore, di chiamare Dio papà e di sentirci fratelli, di essere creativi nella carità, di lottare per dare voce a chi non ha voce di incarnare lo spirito rivoluzionario di Cristo. Come sarebbe bello dire come San Paolo non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me!
Il soffio di Dio come una carezza penetra la nostra vita e la riempe d’amore e di pace da donare agli altri. Questo è il vero cambiamento, questa è la vera rivoluzione!
Voglio concludere con gli ultimi versi dell’inno sacro “Pentecoste” composto da Alessandro Manzoni:
Noi T’imploriam! Placabile
Spirto discendi ancora,
A’ tuoi cultor propizio,
Propizio a chi T’ignora;
Scendi e ricrea; rianima
I cor nel dubbio estinti;
E sia divina ai vinti
Mercede il vincitor.