di Valeria Ponente – “Rifugiato è chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.” ( art.1 Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, 1951 )
Dell’accoglienza, della sua valenza e del suo significato, di ciò che comporta e soprattutto di chi debba farsene carico, in Italia si parla ormai da mesi; si è assistito, in particolare tra gli operatori che lavorano nel settore sociale, a una delegittimazione del senso stesso dell’accoglienza a favore di quanto invece sancisce l’allontanamento dalla persona. Esasperazione del concetto di sicurezza e confine, volontà di creare barriere anche fisiche e visione dell’Altro da Sé come fonte di pericolo, sono elementi che hanno fatto breccia in una società già anestetizzata emotivamente e intimorita dal rischio costante di una recessione economica.
Quanto è facile dunque attribuire allo straniero la causa e la responsabilità di ciò che non funziona? Quanto è facile proiettare nel differente da Sé l’origine di quei problemi che ci si rifiuta di attribuire a delle pratiche di governo inefficaci e a dei politici distanti dalle reali esigenze del Paese?
E così, il concetto di accoglienza ha iniziato a diventare sempre più liquido fino quasi a perdersi: l’accoglienza come apertura, l’accoglienza come mettersi in gioco con l’Altro per costruire percorsi condivisi, l’accoglienza come confronto e crescita anche all’interno delle diversità reciproche, è sembrata e sembra venire meno.
In un contesto socioculturale così complesso, una risposta concreta al dovere di continuare ad accogliere è giunta dalla Fcei ( Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia ) che a partire già dal 2016, in collaborazione con la Tavola Valdese e la Comunità di Sant’Egidio ha avviato il progetto “Corridoi Umanitari”, con l’obiettivo di far giungere in Italia in totale sicurezza cittadini siriani fuggiti dalla guerra civile e profughi nei campi in Libano.
A oggi, circa 2500 persone sono state accolte grazie ai visti umanitari rilasciati dalle autorità consolari italiane in Libano: nuclei familiari, persone con problemi di salute o disabilità, donne sole con figli e in generale persone vulnerabili sono arrivati viaggiando con regolari voli di linea e hanno avuto la possibilità di chiedere Protezione Internazionale nel nostro Paese, e ottenere lo status di rifugiato. Il progetto è interamente finanziato dall’8×1000 della Chiesa Valdese ( Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi)
Nell’ambito dei Corridoi Umanitari, a partire dall’ottobre del 2018 la chiesa Valdese di Messina ha accolto un nucleo familiare e tre giovani uomini, di origine siriana. L’accoglienza è stata possibile grazie alla collaborazione con la Diaconia Valdese, già partner del progetto dei Corridoi Umanitari e presente sul territorio nazionale con numerosi progetti rivolti all’inclusione sociale. Sul territorio messinese è presente un’equipe multidisciplinare, composta da una psicologa, un’assistente sociale, una mediatrice linguistico-culturale e una insegnante, che si occupano di accompagnare queste persone in un percorso graduale verso il raggiungimento dell’autonomia personale, fornendo gli strumenti necessari affinchè possano orientarsi sul territorio e sentire di farne parte.
Si tratta di un percorso di accoglienza, in cui viaggiano su binari paralleli gli adempimenti burocratici per ottenere i documenti necessari e i percorsi di istruzione e formazione rivolti al potenziamento delle competenze che questi giovani già posseggono e all’eventuale acquisizione di nuove. Giornalmente, le attività dell’equipe si intrecciano con quelle dei servizi territoriali di riferimento, in un percorso a volte a ostacoli e a volte straordinariamente disponibile e caloroso.
L’esperienza dei Corridoi Umanitari a Messina è dunque testimonianza concreta di come sia possibile continuare ad accogliere, affinchè tutti possano godere del diritto di vivere in un luogo sicuro e possano raggiungerlo senza che la loro vita sia messa in pericolo.