di Palmira Mancuso – Tocca scrivere oggi. Tocca per non lasciare che le parole di altri restino senza contraddittorio. E lo facciamo da un giornale che orgogliosamente è stato fondato a Messina perchè convinti che la libertà, quella parola che cerchiamo di rendere concreta scelta dopo scelta nella vita, passi anche attraverso la conoscenza. Una libertà di parola e espressione che alcuni in questa giornata dedicata alla Festa di Liberazione dell’Italia ( festa perché oggi, nel 1945, i soldati nazisti e fascisti si ritirarono da Torino e Milano, anche se la guerra continuò ancora per un po’) hanno usato per sminuire la portata storica di una rivoluzione che, come tutte le guerre, è stata segnata dal sangue.
Molti dimenticano (o vista la “preparazione” ostentata da taluni professori di liberalismo e tal’altri appassionati della storia che gli confà) che il dibattito sulla Resistenza deve partire da una verità assoluta, senza malintesi ne opportunismi: non ci furono angeli contro diavoli, ma uomini normali che hanno combattuto per una giusta causa contro uomini altrettanto normali che hanno combattuto per una causa malvagia.
L’occupazione tedesca e fascista in Italia non terminò in un solo giorno ma si considera il 25 aprile come data simbolo, perché quel giorno del 1945 coincise con l’inizio della ritirata da parte dei soldati della Germania nazista e di quelli fascisti della repubblica di Salò dalle città di Torino e di Milano, dopo che la popolazione si era ribellata e i partigiani avevano organizzato un piano coordinato per riprendere le città. La decisione di scegliere il 25 aprile come “festa della Liberazione” (o come “anniversario della Liberazione d’Italia”) fu presa il 22 aprile del 1946, quando il governo italiano provvisorio – il primo guidato da Alcide De Gasperi e l’ultimo del Regno d’Italia – stabilì con un decreto che il 25 aprile dovesse essere “festa nazionale”. La data fu fissata in modo definitivo con la legge n. 269 del maggio 1949, presentata da De Gasperi in Senato nel settembre 1948.
A chi oggi ha solo da festeggiare San Marco (come il professor Dario Caroniti che in questo 25 aprile ribadisce che “da quel momento però quasi mezza Europa venne trascinata nell’esperienza in assoluto più tragica della storia dell’umanità, il comunismo” parlando delle atrocità di Tito e delle foibe) ricordiamo che essere cattolico non è stato facile neanche durante la dittatura: Don Sturzo fu mandato in esilio per il suo essere antifascista. Fu il prezzo che Papa Pio XI accettò di pagare per la normalizzazione dei rapporti tra stato e chiesa. E non dimentichiamo gli Scout che come le altre associazioni pagarono col sangue il divieto imposto dalle Leggi Fascistissime (la n. 5 del 9 gennaio 1927), che aveva decretato lo scioglimento dei Reparti Scout nei centri inferiori a 20.000 abitanti, e l’obbligo di inserire l’acronimo ONB (Opera Nazionale Balilla) nelle insegne dei rimanenti. Il solito Papa Pio XI fu costretto a dichiarare sciolto l’Associazione Scautistica Cattolica Italiana (ASCI) il 24 gennaio dello stesso anno. Il 9 aprile 1928 tutto lo scautismo fu dichiarato soppresso dal Consiglio dei ministri. Fu allora che anche tra i giovani scout dell’epoca si organizzò la Resistenza, con le Aquile Randagie: la resistenza durerà 16 anni 11 mesi e 5 giorni, che saranno chiamati, basandosi sul linguaggio di Kipling, il periodo della giungla silente. Un pezzo della storia che da cattolici bisognerebbe non dimenticare, e che val la pena rivedere oggi:
Da giornalista non posso poi che ribadire ai nostalgici come l’architetto Nino Principato, che addirittura propone di abolire la festa del 25 aprile, che “quando scoppia la guerra, la prima vittima è la verità”. E la verità non è certamente quella dei nuovi negazionisti ne di chi vuole evidenziare crimini di guerra per giustificare chi quella guerra provocò. Non si tratta di una visione ideologica ma di scegliere da che parte stare: sempre, allora come adesso dove non si spara (ancora per poco vista la legge sulla legittima difesa) ma il rischio di trovarci come sotto il Regime esiste eccome.
Mussolini considerava i giornalisti gli “educatori del popolo”, e dal MinCulPop all’attuale propaganda, ciascuno deve sempre scegliere se servire la professione o il denaro. La guerra ideologica che in questi anni ha nutrito e obnubilato la capacità critica di tantissimi giovani e persino dei quarantenni che si sono formati sotto il berlusconismo dimenticando che i loro nonni quella guerra l’hanno vissuta, sta facendo dimenticare che da una parte c’erano quelli che avevano ridotto interi ceti sociali in quello stato di guerra e continuavano a invocare il ritorno al regime, dall’altra chi invece coltivava nuove aspirazioni e sogni di libertà e democrazia.
Per loro festeggiamo il 25 aprile. Ragazzi come Piero Gobetti morto a 24 anni per le condizioni in cui versava in esilio in Francia: giornalista, editore, filosofo, antifascista. Giacomo Matteotti giornalista, politico, antifascista rapito e assassinato da una squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini probabilmente per volontà esplicita di Benito Mussolini che nel 1924 si assunse la responsabilità politica con un discorso in parlamento che fu l’inizio del Regime. Per Antonio Gramsci giornalista, politico, filosofo, politologo, linguista e critico letterario italiano nel 1926 ristretto dal regime fascista nel carcere di Turi. Fino alla morte nel 1937 per il grave deterioramento delle sue condizioni di salute dovuto alla carcerazione.
Questi uomini non hanno partecipato alla battaglia di Liberazione, ma sono stati richiamo ad appellarci a ciò che di positivo abbiamo dentro. L’antifascismo è un valore che è stato declinato grazie alla capacità politica di pacificazione compiuta con la nascita della Costituzione e attraverso l’amnistia dichiarata dal Parlamento (Decreto Lgt. 17 novembre 1945, n. 719. Amnistia per reati politici antifascisti; Decreto Lgt. 29 marzo 1946, n. 132. Amnistia e condono per reati militari; Decreto Presidenziale 22 giugno 1946, n. 4. Amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari; fu detto amnistia Togliatti).
Le contraddizioni possono valere per la coscienza individuale (ci sono stati “fascisti” capaci di proteggere ebrei, come Ferdinando Natoni; ed esponenti del CNL capaci di proteggere fascisti, come il caso dell’avvocato Enzo Paroli liberalsocialista, che nasconde per più di un anno e mezzo il siciliano Telesio Interlandi fondatore e direttore della Difesa della Razza) ma non per la Storia. E il 25 aprile è Storia, quella grazie alla quale tutti noi godiamo di quei diritti che certe nostalgie danno per scontati, dimenticando che, come ammoniva Umberto Eco, il fascismo può tornare … “Il fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo”. (25 aprile 2019)