di Frà Giuseppe Maggiore – Nel duomo di Messina, ai piedi del Pantocratore che domina l’abside dell’antica Basilica, c’è il feretro contenente Alessandra Musarra, ennesima vittima della cattiveria e violenza ad opera dell’uomo, uccisa lo scorso 7 marzo nella sua abitazione di Santa Lucia sopra Contesse.
Entrando nella Cattedrale, ciò che subito mi ha colpito è stato il silenzio. Nonostante ci fosse già molta gente, lo definirei assordante: un silenzio che sembra penetrare e squarciare il cuore suscitando un groviglio di sentimenti. I singhiozzi nati da un pianto ininterrotto dei genitori e dei parenti di Alessandra, rompevano quel silenzio che favoriva la preghiera e la riflessione su ciò che siamo e come dovrebbe essere lo stile relazionale di ogni essere umano nei confronti del prossimo.
Nel corridoio centrale che porta al feretro, una lunga fila di persone si avviano per dare un saluto, un bacio ad Alessandra dove accanto solennemente la Polizia Municipale con il gonfalone del Comune di Messina, sembra custodire quel corpo di giovane donna che andrà a far compagnia alle tante vittime di femminicidio, fenomeno sempre più diffuso nel nostro Paese.
Tante le ragazze e le donne con una maglietta bianca dove primeggia la foto di Alessandra con la scritta in rosa “stop alla violenza sulle donne”. Oso interrompere il silenzio e il dolore di una giovane donna, amica della vittima che con gli occhi colmi di lacrime mi dice con fermezza e tutto d’un fiato, che “la sottomissione, l’essere oggetto nelle mani di un altro, non ribellarsi non è amore”. Continua dicendomi che la morte di Alessandra, l’ennesima morte causata dalla violenza e dalla follia deve farci aprire gli occhi. Ringraziandomi riprende il suo silenzio e si riavvolge nel dolore, mentre le lacrime cadendo sul pavimento freddo della Cattedrale messinese mi danno l’impressione che salgano a Dio come preghiera per Alessandra e la sua famiglia.
Il silenzio viene nuovamente interrotto dalla campanella che avvisa l’assemblea dell’inizio della Celebrazione Eucaristica, presieduta da Don Giuseppe La Speme, delegato dell’Arcivescovo Don Giovanni Accolla, per la Basilica Cattedrale, oggi assente in quanto impegnato con la Conferenza Episcopale Siciliana.
Nella sua breve omelia, don Giuseppe evidenzia il silenzio che ha invaso il duomo.
“Davanti ad una morte improvvisa– dice il sacerdote- il silenzio mostra la nostra incapacità di esprimerci. Il silenzio non è assenza di sentimenti, perché ci sono e si trasformano in lacrime. Lacrime che versa anche Gesù alla notizia della morte di Lazzaro, lo fa per esprimere la sua solidarietà con noi che piangiamo per la morte di Alessandra.”
“È credere nel mistero della resurrezione che ci fa alzare il capo”. Continua Don Giuseppe. Poi citando San Paolo con tono mesto ma deciso afferma: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore”.
Chi crede lo sa che il Signore ama Alessandra, come ama ogni vittima di violenza. Non possiamo negare che i progetti, i desideri, la gioia di vivere di donne come la giovane messinese sono spesso troncati dall’egoismo, dalla gelosia o dalla voglia di possesso di un uomo o più.
Siamo convinti che in questa triste e drammatica vicenda, la sconfitta è Alessandra che ha perso la vita? Sicuramente lo è la società, sconfitto è chi uccide, sconfitti siamo noi quando non impariamo da queste tragedie l’arte di saperci relazionare mettendo l’amore vero sopra ogni cosa. Perdiamo la dignità e tutto, quando pensiamo che l’altra è di mia proprietà.
La morte di questa giovane donna possa portare frutto come il seme che cade a terra e muore. Ci faccia comprendere la bellezza della vita e come deve essere rispettata e amata in quanto dono immenso di Dio.
Alla fine della Celebrazione Eucaristica gli applausi e il volo dei palloncini rosa hanno fatto da cornice ai famigliari e alla mamma,china sul feretro versando lacrime d’amore per la propria figlia.