La storia del generoso galeotto Jean Valjean, di Fantine e di sua figlia Cosette, dell’oscuro Javert, dei Thénardier, di Marius, Gavroche, Eponine e di tutti gli altri… “I Miserabili” appartiene alla storia non solo della letteratura, ma del genere umano. Questo romanzo geniale parla a ogni epoca come se ne fosse l’espressione diretta, perché tocca al cuore grandi temi universali come la dignità, il dolore, la misericordia, la giustizia, il male, la redenzione. Franco Però, Luca Doninelli e Franco Branciaroli portano in scena questa sterminata, meravigliosa sinfonia umana.
Conversazione con Franco Però regista de “I Miserabili”
a cura di Ilaria Lucari
Accostarsi ai “I Miserabili” di Victor Hugo ha rappresentato per tutti voi, attori e creatori, un’impresa emozionante e anche “temeraria”, come l’ha definita Luca Doninelli accettando la sfida dell’adattamento di questo capolavoro…
«Molti sono stati i motivi che ci hanno spinto verso questa follia: forse uno dei primi che ci portati verso questa scelta, è nato dallo sguardo sul momento che stiamo vivendo nelle nostre società, dove si assiste all’inesorabile ampliarsi della forbice fra i “molto ricchi” e i “molto poveri”, fra chi è inserito nella società e chi invece ne è ai margini. Dopo anni in cui, allo Stabile, attraverso la drammaturgia abbiamo indagato il microcosmo della famiglia (Scandalo di Schnitzler, Play
Strindberg di Dürrenmatt), apriamo ora lo sguardo al macrocosmo della società.
C’è poi un’altra considerazione: il pubblico, a teatro, sembra sempre più attratto da operazioni legate alla narrativa. La narrativa sulla scena è un mezzo che permette di attrarre anche fasce non abituate a frequentare le platee teatrali. Naturale dunque guardare ai grandi romanzi. Poi subentrano
le passioni, le vicinanze culturali che ognuno possiede. Accanto a quella mitteleuropea, ho sempre frequentato soprattutto la letteratura francese (come l’adattamento de Lo Straniero lo splendido romanzo di Camus, che ho portato più volte sulla scena).
Ne I Miserabili possiamo vedere la storia della redenzione di un galeotto, il rapporto con il sacro, la grande Storia, l’amore, la ribellione, l’ingiustizia sociale… Concordo con il recente parere di un critico francese che ha scritto che si tratta forse del romanzo più famoso che esista in occidente, ma che pochissimi hanno letto per intero, tanto è imponente. I Miserabili è veramente un fiume in piena: devi gettarti dentro e lasciarti trasportare».
È anche un’opera capace come rare di parlare al nostro tempo…
«Non c’è stata una giornata delle prove in cui per sistemare una battuta, per cercare una parola, non ci si sia imbattuti in concetti universali, pensieri che toccano il mondo di oggi, le nostra società occidentali… Un giorno mi suonava strana la battuta di uno dei giovani rivoluzionari e ho riguardato il romanzo, certo che ci fosse stato qualche aggiustamento
drammaturgico: sembrava scritta nel nostro ’68. Invece Luca Doninelli aveva preso esattamente la frase di Victor Hugo, che continua a stupirci e impressionarci per queste sue assonanze con l’attualità, per la capacità di affrontare temi diversissimi, di mettere assieme momenti alti e momenti bassi… ed è questo un altro tratto distintivo della sua travolgente scrittura»
In questo grande affresco, ogni personaggio, ogni storia ha rilievo, respiro, chiaroscuri da tratteggiare: accanto a Franco Branciaroli, ha raccolto attori diversi per formazione e provenienza, ma tutti di notevole talento…
«Ogni personaggio è protagonista di un proprio romanzo all’interno de I Miserabili, ogni attore ha un ruolo fondamentale: mi è sembrato giusto partire dagli otto attori che compongono la Compagnia dello Stabile del Friuli Venezia Giulia, poi ho integrato il cast con alcuni altri attori tutti di grande qualità… e poi esiste Jean Valjean. Un personaggio monstre che aveva bisogno di un attore altrettanto monstre: Franco Branciaroli. Diverse ragioni mi hanno indirizzato a lui: mi ha favorito sapere che aveva già collaborato con lo Stabile in un affascinante Galileo, mi hanno colpito alcune sue follie sceniche, come “Dipartita finale” che ho voluto nella scorsa stagione, e naturalmente ho ammirato la sua carriera, i lavori con Ronconi… C’è inoltre il piacere di incontrarlo finalmente sulla scena: mi era capitato soltanto in una singolare occasione di inizio carriera. Il primo spettacolo che affrontai fuori Trieste, da giovane e inespertissimo attore, fu infatti il Gesù di Carl Theodor Dreyer prodotto dallo Stabile di Torino per la regia di AldoTrionfo. Eravamo un grande gruppo, tutti nel ruolo dei “fraticelli”: attorno a me, Nanni Garella, Saverio Marconi… e Franco Branciaroli era naturalmente Gesù. Poi ci siamo incrociati spesso, ma stranamente mai trovati sullo stesso palcoscenico.
Ho messo in rapporto tutto ciò, la sua bravura, la sua generosità e la sua capacità di essere fuori dalle regole, fuori dagli schemi… com’è Jean Valjean, che è tutto: un santo e anche un vero galeotto. E l’incontro è avvenuto, ed è stato molto bello. Sono rimasto colpito dall’atteggiamento di Franco (che devo ringraziare anche per l’incontro con Luca Doninelli), dalla sua disponibilità, l’impegno, il pudore e la sensibilità con cui propone e suggerisce… Branciaroli è un grande strumento, uno dei rari attori che si mette completamente a disposizione
del lavoro».
Come ha concepito, assieme ai suoi collaboratori, una dimensione iconografica in grado di restituire soluzioni per le tante ambientazioni previste dal romanzo?
«Cerco sempre di creare un’armonia fra i diversi linguaggi che si fondono nello spettacolo e trovarla per I Miserabili era fondamentale: da un lato ho collaborato con professionisti con cui ho un rapporto di fiducia da lungo tempo, come Andrea Viotti per i costumi e Antonio Di Pofi, per le musiche. Dall’altra parte ho invece cercato di svincolarmi dal passato, cercando qualcuno che mi provocasse con nuove idee. Domenico Franchi – un artista di grande esperienza e scuola, che è scenografo e pittore – ha risposto appieno a questa mia esigenza e nella scenografia ha saputo coniugare una necessaria astrazione alla concretezza materica. La scena è dominata da tre elementi che sembrano una rivisitazione degli antichi periaktoi: si muoveranno sempre, offrendo la possibilità di continui
mutamenti di scena e di sfondo e questo non certo seguendo l’idea di definire realisticamente tutti gli infiniti spazi in cui si svolge l’azione. Anzi, tali elementi mobili, dialogano contemporaneamente con le esigenze fisiche dello spettacolo e con l’immaginazione degli spettatori, rimandando a immagini diverse, magari anche a quella di libri, di cui gli
attori stessi apriranno e muoveranno pagine diverse, attraversando il grande romanzo di Hugo ed il suo mondo, basso e alto, tragico e in continuo mutamento.
Nel contempo desideravo che i costumi raccontassero invece precisamente l’epoca in cui è stato scritto il romanzo, creando così un cortocircuito in grado d’evidenziare ancor più la forza narrativa dei suoi temi, che possono ancora percorrere la nostra società. Andrea Viotti ha lavorato molto su questa indicazione, partendo da illustrazioni francesi d’epoca,
base di una ricostruzione e reinvenzione dei costumi dalla splendida forza evocativa.
In qualche modo, sulla stessa linea abbiamo lavorato con Antonio Di Pofi sull’invenzione musicale, che fonde due aspetti: momenti più popolari da una parte, più trascinanti dall’altra, essenziali questi ultimi per la creazione di atmosfere capaci di condurci dentro una storia che attraversa anni ed intere esistenze.
Altrettanto importante infine l’apporto delle luci di Cesare Agoni, che ho conosciuto proprio in occasione dei Miserabili: il suo intervento è stato molto raffinato, per la sottile capacità di incidere nelle scene, nei movimenti e nei volti dei personaggi».
Teatro Vittorio Emanuele:
Venerdì 8 marzo 2019, ore 21:00 – Turno A
Sabato 9 marzo 2019, ore 21:00 – Turno B
Domenica 10 marzo 2019, ore 17:30 – Turno C
Messina, 6 marzo 2019.