Le pagelle della prima giornata del Festival di Sanremo

di Gabriele Fazio per Agi – La 69esima edizione del festival di Sanremo si apre con i conduttori, accompagnati da un corpo di ballo vestito come se dovesse sponsorizzare offerte di compagnie telefoniche, sulle note di “Via” dello stesso Claudio Baglioni. “Voglio andar via!” cantano Baglioni, Bisio e la Raffaele, che non è esattamente incoraggiante considerato che ci aspettano, letteralmente, ore e ore di spettacolo. Baglioni, che come è noto è anche direttore artistico e conduttore del festival, cantando un suo pezzo in apertura, per il quale presumibilmente riceverà regolare assegno dalla Siae, tenta di creare un conflitto d’interessi dentro un conflitto d’interessi dentro un ulteriore conflitto d’interessi, l’intento è quello, probabilmente, di fare implodere l’universo.

Molti cantanti in questi giorni hanno fatto i complimenti per la scenografia, forse perché sembra quella di X-Factor, purtroppo però non entra Cattelan per condurre ma in scena resta la statua di cera di Baglioni sceneggiata, evidentemente, da chi scriveva i testi dell’Albero Azzurro. Bellissima in abito nero Sabrina Ferilli travestita da Virginia Raffaele; Claudio Bisio invece lo hanno conciato come una versione trash del Mago Otelma.

I CANTANTI

Francesco Renga (4) 

Renga ha la meravigliosa abilità di essere sempre uguale a se stesso. Che va benissimo se vuoi bullarti al bar di essere Highlander, ma meno se fai la stessa canzone da anni, peggio ancora se quella canzone annoia da pazzi. Una roba talmente anacronistica che perlomeno ci da una risposta ad uno dei grandi dilemmi della storia recente del nostro paese: ma che ci troverà mai Ambra Angiolini in Massimiliano Allegri? Non è che aspettiamo che qualcuno gli tagli la testa per vederlo smettere, giammai, però l’ingresso in scena di Christopher Lambert col gonnellino scozzese diventerebbe una scena più cult del monologo di Grillo sui socialisti.

Nino D’Angelo e Livio Cori (6,5)

Esperimento interessante quello che coinvolge i due artisti. Una strana miscela tra tradizione e quel nuovo mood proposto ultimamente dalla musica partenopea. I musicarelli napoletani che incontrano Drake per strada e non si salutano. Una miscela di suoni che ricorda…ehi, Liberato! Mascherina ti conosco. Caro Livio, ti bracchiamo, prima o poi lo ammetterai e noi ammetteremo che tutto sommato ce ne fregava pochissimo. Peccato solo che D’Angelo non canta benissimo, anzi, stecca tutto lo steccabile.

Nek (5)

Il pubblico dell’Ariston lo accoglie con una serie di “Bravo!”, ma poi comincia a cantare. A Nek gli si vuole bene, è solo che gli anni ’90 sono passati da quasi vent’anni. Figuriamoci, potessimo torneremmo con lui a farci calare un gran due di picche da Laura, ma il mondo va in altra direzione.

The Zen Circus (8) 

E poi entrano gli Zen e il loro pezzo “L’amore è una dittatura” è semplicemente geniale. Una specie di rock puro scritto con metrica quasi rap. Nessun ritornello, semplicemente la volontà di dire qualcosa di importante, di profondo. The Zen Circus se ne sbattono del festival di Sanremo, del palco che scotta, di Baglioni, Salzano, Striscia, Salvini, migranti, sala stampa, e share; non si tradiscono e spediscono tutti ad un festival estivo, ubriachi, giovani e felici.

Il Volo (0) 

Non vi preoccupate, le vostre tv non si sono rotte, sono i tre ragazzi che sono così vecchi che la tv fatica a riconoscerli. Una roba così non si vede più nemmeno in VHS. Il loro successo è inspiegabile. L’unica consolazione è che i loro fans, per ragioni anagrafiche, si estingueranno prestissimo; noi speriamo non soffrano, ma se continuano ad ascoltare Il Volo se la cercano. Appena escono di scena gli addetti al palco devono passare con le scope a togliere via le ragnatele.

Loredana Bertè (s.v.) 

Dopo Il Volo deve entrare Loredana Bertè per dare una ventata di giovinezza al palco, “Cosa ti aspetti da me” non si può proprio dire sia un capolavoro, anche se entrare in scena subito dopo Il Volo aiuta e non poco. Ma non importa, lei è un’icona che resta comunque totalmente rispettabile. Anzi di più. Un mito. Quando entra ha uno sguardo distorto, svampito, ebbro, racconta, solo con un certo atteggiamento, tutta una storia, molto più interessante di quella che potrebbero raccontare tutti gli altri concorrenti in gara, tutti insieme, in cento vite. Volete un voto? No, inutile.

Daniele Silvestri feat. Rancore (7)

“Argento vivo” è un ottimo pezzo. È complesso, di gran livello. Certo, non ha alcuna possibilità di vincere il Festival, ma è evidente che a Silvestri non gliene freghi alcunché. Il featuring con Rancore è totalmente nelle sue corde, perché la metrica di Silvestri da sempre strizza l’occhio al rap, e lui per l’occasione si porta appresso uno dei più talentuosi della scena italiana. Al riascolto piacerà di più, ascoltata nello stereo piacerà molto di più.

Federica Carta e Shade (2)

Lei entra in scena come se avesse perso una scommessa con l’organizzatore di un gay pride con pessimi gusti; di lui scopriamo che non si pronuncia “sceid” ma proprio “sciade”, ma poi ci accorgiamo che non ce ne frega nulla. Il duo mette le mani avanti fin dal titolo: “Senza farlo apposta”, ma legalmente non basta ad evitargli una denuncia per furto del nostro tempo. Il pezzo è brutto, ma la cosa non colpisce particolarmente, stupisce di più il sadismo di chi li ha mandati al macello su un palco così importante. Ci concentriamo su questo perché se dovessimo fare un elenco mentale di tutti i pezzi ai quali assomiglia la canzone ci comincerebbe a sanguinare il naso. Comunque quando uscirà quelle 300 milioni di visualizzazioni sono assicurate. E tu mentre ascolti il brano vorresti vedere questi 300 milioni di, evidentemente, loro cugini, che facce hanno.

Ultimo (5,5)

Sarà una gran tristezza vederlo trionfare in un’edizione così colma di talento, esperienza e contenuti. La canzone non sarebbe nemmeno male, ma la sua personalità è così liscia, così neutra. Il pezzo, però, c’è da dirlo, messo in bocca a Brunori SaS probabilmente spaccherebbe.

Paola Turci (6)

La canzone forse non è la sua migliore, ma in quanto a classe e professionismo frega tutti, anche quando quasi non arriva, quando la voce sembra cedere, quando mette in mostra qualche incertezza. Anzi, proprio in quei momenti ci rendiamo conto di quanto l’umanità di chi prende un microfono in mano sia dote fondamentale, non smerciabile con una nota più alta né, soprattutto, con un visino più vendibile alle copertine. Tra l’altro, la Turci, resta sempre una donna dal fascino irresistibile. E frega quasi tutte anche sotto quel punto di vista. Si parla spesso di donne nella musica italiana, basterebbe dare più attenzione alle Paole Turci.

Motta (7)

Chi segue Motta sa che nessuno lo ha mai visto vestito di un colore diverso dal nero, rompe questa tradizione travestendosi da torero daltonico con una camicia inguardabile. Ma il pezzo è proprio bello, anche se lui canta visibilmente emozionato; forse non è il suo più bello, ma fortunatamente la maggior parte del pubblico Rai, rimasto ancora imbambolato da Albano e Romina, non ne ha la minima idea. Dov’è l’Italia è uno di quei pezzi che non le manda a dire e punta dritto dritto al premio della critica e alla pagina Facebook di Salvini. Anzi, ricordiamo che i voti dei social media manager del Ministro dell’Interno varranno nella classifica del festival al 20%.

Boomdabash (4,5)

Dovrebbero rappresentare la quota danzereccia di questa edizione, ma falliscono miseramente. La canzone passa totalmente inosservata, escono di scena e già non ce li ricordiamo in più. Interessante l’idea di Dolce&Gabbana di vestirli come panni di biliardo rossi.

Patty Pravo e Briga (5)

Patty Pravo, accuratamente scongelata per l’occasione, in compagnia di Briga, che ha conosciuto la fama nel 2015 per la sua partecipazione ad Amici di Maria De Filippi e che presto tornerà nell’oblio, giusto il tempo di finire di scrivere la sua pagella, vanno in scena giusto per celebrare il mito della grandissima icona della canzone italiana, colei che con l’aiuto della scienza ha rifiutato l’esistenza del tempo e sfida le più basilari regole dell’universo. Noi ci ammaleremo, ce ne andremo da questo mondo soffrendo, e lei sarà ancora su quel palco. Magnifica. Si materializza completamente inebetita, più confusa della popolare Gif di John Travolta che si guarda intorno in Pulp Fiction. Ci regala attimi di gioia di un livello talmente alto che nemmeno ci accorgiamo che in scena c’è anche… Lui… Coso… Come si chiama… Dai… Quello di… Eh vabbè.

Simone Cristicchi (6,5) 

“Magari ci ricascano” deve aver pensato, chiudendo la busta con dentro la canzone da proporre al festival. In linea di massima lo schema è sempre lo stesso: sta lì sul palco, davanti ad un microfono, e dice belle cose, con una bella intensità. Boh…ok. Come artista ha un suo senso, intendiamoci, e ha senso averlo a Sanremo. Però da questo festival pretendiamo passi in avanti, lui in pochi minuti lo riporta al tremendo decennio che ha inaugurato questo nuovo millennio e che teniamo felicemente alle nostre spalle.

Achille Lauro (5,5)

Ok, scendiamo a patti così ci capiamo: Achille Lauro canta male, ma male male, e il suo pezzo “Rolls Royce”, nonostante rappresenti una felice virata verso qualcosa che perlomeno assomiglia alla musica, resta un pezzo inutilmente spaccone e che può risultare interessante solo se messo accanto a canzoni estremamente noiose. Tipo tra le canzoni di un festival di Sanremo, così, per esempio. Detto ciò, è innegabile che il ragazzo abbia stile, che sappia presentarsi al pubblico e che almeno è giovane e fa il giovane. Ogni riferimento ai tre vecchietti de’ Il Volo è puramente casuale. Siete proprio maliziosi eh?

Arisa (6,5) 

Arisa oltre ad avere una voce tecnicamente impeccabile canta con un’innocenza disarmante. Si diverte con un pezzo che dietro un’apparente semplicità cela una complessità che lei affronta con la leggerezza che la contraddistingue. Ce ne fossero di artisti puri come lei. E se a sorpresa vincesse?

Negrita (7,5)

Che ritorno, quello sul palco dell’Ariston dei Negrita. “I Ragazzi stanno bene” ci riecheggia nelle orecchie e le fa respirare. Senza trucchi e senza inganni, semplicemente musicisti bravi e preparati che dalla metà degli anni ’80 sfornano, buona musica alternandola a musica davvero ottima. Pau si mangia il palco dell’Ariston manco fosse quello del pubbetto sotto casa, e anche se le telecamere indugiano sulla sua pelle d’oca, la sensazione è che avrebbero voglia di continuare a suonare per ore. Non stanno a Sanremo per vincere, sarebbe bello, ma non accadrà. E va benissimo così.

Ghemon (6,5) 

Ghemon non è semplicemente un rapper, un classico “hippopparo”, ma soprattutto un paroliere raffinatissimo, talmente raffinato che gli facciamo passare pure il fatto di essersi presentato sul palco dell’Ariston con addosso la federa del divano anni ’80 di sua zia.

Einar (4) 

Quelli che escono da Amici di Maria De Filippi ce l’hanno scritto in faccia e solitamente è una gran bella faccia accompagnata da una bella voce che, solitamente bilanciano una quasi totale mancanza di talento. Gente che senza quella bella faccia sfonderebbe solo al karaoke del quartiere. Non è che gli si vuole male… Al primo; al trentesimo perfetto sconosciuto allo sbaraglio, ci perdonerete, ma quasi ci scatta la violenza.

Ex-Otago (6)

I ragazzi sanno il fatto loro, le intenzioni chiare, le idee ottime, come quella di prendere Edoardo Leo come frontman. Le strofe si fanno rispettare, il pezzo poi cala un po’ nel ritornello. Se l’intenzione è quella di aprirsi al grande pubblico può anche andar bene, per vincere, o perlomeno rischiare di vincere, serve ben altro. Peccato, perché nel baraccone indie, là fuori, si fanno rispettare, oggi non vanno oltre la sufficienza. Ma il pezzo va riascoltato con calma.

Anna Tatangelo (4)

Anna Tatangelo evidentemente vive nel backstage dell’Ariston, non c’è altra spiegazione, a parte la gradevolissima presenza, per invitarla tutti gli anni per cantare, tra l’altro, sempre la stessa stramaledettissima canzone. Anche basta. Il primo Sanremo aveva 15 anni, liberatela! Utile, comunque, come segnale per alzarsi dal divano e andare al bagno.

Irama (5)

Se si mette la tv in modalità “mute”, per intrattenervi, potete giocare a “Einar o Irama”, chi indovina chi dei due sta cantando vince un disco di De André. Complicatissimo vincere, ma è un gioco particolarmente istruttivo per i più piccoli, i benefici pedagogici consistono nel fatto che il gioco vi evita di dover ascoltare canzoni di Einar e Irama. Buttalo via.

Enrico Nigiotti (6)

“Nonno Hollywood” è un pezzo che ha senso, forse in altre edizioni rischiava addirittura di vincere. Non quest’anno. È apprezzabile il modo in cui il ragazzo, dopo l’esperienza X-Factor, sta costruendo la sua carriera. Ma ancora deve uscire qualche numero di magia particolarmente esaltante. Poi ne riparliamo.

Mahmood (6)

Il ragazzo si gioca la carta del pezzo vagamente più movimentato ed è una carta che mai come quest’anno paga. Non sarà un gran pezzo ma almeno, forse, salva dal coma.

GLI OSPITI

Andrea Bocelli (6)

Piazzare in scaletta Andrea Bocelli a una sola esibizione di distanza da Il Volo è quasi da denuncia, opera di un autore particolarmente simpatico. La versione de’ ”Il mare calmo della sera” insieme a Baglioni è gradevole, molto meno il momento patetico dello scambio di giacche con il figlio Matteo, che si becca pure il predicozzo in eurovisione sull’aiutare la fortuna con l’impegno. “Che due palle papà!” deve aver pensato il giovine. Fall on me, il pezzo che cantano insieme, è una noia mortale, un prodottino ben confezionato buono da vendere agli americani in un menù del MacDonald’s, forse la prossima volta, se mandano il vero figlio di Bocelli, studente al conservatorio di Lucca, invece che Primo Reggiani, magari viene meglio.

Pierfrancesco Favino (3)

Ma almeno lui, che di roba scritta da recitare ha anche una certa esperienza, può essere che non si renda conto di quanto possa essere pessimo il copione che gli propongono di mettere in scena? Non fa ridere, non è fatto bene e mette in risalto solo una superficialità disarmante nel costruire lo show. La situazione con l’ingresso di Baglioni degenera in maniera disastrosa: quando attaccano, con tanto di balletto, “Ci son due coccodrilli ed un orango tango…” è delirante.

Giorgia (8)

Giorgia è Giorgia, una delle migliori voci femminili del panorama musicale italiano. E resta Giorgia anche quando dribbla con classe e maestria l’acuto di I Will Always Love You. Un altro livello.

Claudio Santamaria (6)

Entra in scena con una gag sul nome Claudio che fa venir voglia di calciare gli spigoli di casa con i mignoli del piede. L’omaggio al Quartetto Cetra è commovente, soprattutto perché ci si rende conto della decadenza del mondo dello spettacolo italiano.

I CONDUTTORI

Claudio Baglioni (4)

Il suo festival farà numeri, ok, ma a noi importa pochissimo. Se è vero che tutto, a quanto pare, passa da lui, com’è giusto che sia se ci si proclama “dirottatore artistico”, non può passare inosservato il bassissimo livello dello show televisivo, salvato, questo c’è da dirlo, da una discreta scelta artistica. La musica ha salvato Sanremo e questo è molto romantico, ma gli sketch non fanno ridere, le ospitate inutili e i superospiti che di super hanno ben poco, compresi, duole dirlo, anche il maestro Bocelli e la magnifica Giorgia. Il Festival ha una lunga e strepitosa tradizione di ospiti stranieri che illuminavano tutto il baraccone. Questo nazionalismo, diciamocelo, piuttosto sospetto, preferendo dare visibilità ad artisti in promozione, manco fosse una mega puntatona di Che Tempo Che Fa, è fine a se stesso e appanna l’evento.

Virginia Raffaele (6)

Porta a casa il risultato perché oltre ad essere molto molto bella è anche molto molto brava, ma appare vagamente disinnescata. Infatti quando si lascia andare ad una breve e simpatica presa in giro a Patty Pravo durante il rituale della consegna dei fiori è esilarante. La puntata non è nemmeno finita e il web già è in fiamme per la gaffe, effettivamente evitabilissima, del saluto ai Casamonica, ma speriamo non la facciano troppo lunga, che nel frattempo in gara abbiamo Il Volo e la Amoroso è stata invitata come superospite, abbiamo cose decisamente più serie alle quali pensare.

Claudio Bisio (6,5)

Riesce a restare se stesso, quindi molto bravo e molto simpatico. È tecnicamente la migliore spalla per comici che c’è in Italia. Servirebbe solo un comico, che non è la Raffaele perché viene chiamata anche all’anacronistico ruolo di valletta, e non può essere di certo Baglioni, anche se, è evidente, gli piacerebbe, anche se, è evidente, è convinto di poterci riuscire. Ma regge bene la scena, esegue alla perfezione quello che gli dicono di fare, il problema, semmai, è che quello che gli dicono di fare è penoso.

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