Di Clarissa Comunale – Messina è un grande lungomare. Potrebbe essere ammirata da sud a nord e viceversa lungo tutta la sua costa, con il vento favorevole e controvento, tra le correnti che si scontrano, i pescherecci, le spiagge e il sapore del mare. Quel lungomare per molti messinesi è infanzia, primi amori, promesse e bugie. Quel lungomare è libertà.
Darex non ha ragioni per aspettare e deve andare a vedere cosa c’è oltre la gabbia dell’indifferenza e della miseria sociale che, perfino entro le mura di casa, lo relegano alla “diversità”, al suo essere “speciale” e comunemente disabile. Commovente e delicato è Fidelity Card, terzo appuntamento del Cortile Teatro Festival che si è tenuto ieri sera al Cortile Calapaj-D’Alcontres, di e con Nella Tirante nel ruolo della madre di Darex, magistralmente interpretato da Gianmarco Arcadipane, per la regia di Roberto Zorn Bonaventura, scene di Cinzia Muscolino.
Fidelity Card, vincitore del premio “Teatri del Sacro” 2017, racconta la storia di Darex, appassionato di calcio e fumetti a sfondo politico “coloratissimi”, fan dei Litfiba, ateo, affetto da neuroblastoma, che lo costringe a sottoporsi a tre interventi sferrando tre goal vincenti nella sua partita contro la malattia. Primo intervento al midollo ad appena due mesi di vita, secondo intervento al fianco destro a cui segue ciclo chemioterapico, terzo intervento alla schiena ad 11 anni. Nessun campione riesce a portare in alto la squadra come Darex: i grandi Platini, Pelè, Messi, Zidane, Cannavaro, chi sono in confronto a chi è esposto completamente in attacco ed è pronto a lanciare il pallone in rete? Nessun miracolo, nessuna speranza, nessuna illusione è leggibile negli occhi di Darex che, invece, urlano richieste di normalità, di autonomia, di assoluta libertà. È la madre (Nella Tirante) l’anello che spezza e lega allo stesso tempo la vita di Darex. Il morboso e disturbante fanatismo, la costante ricerca di rassicurazione divina, fino all’infantile “raccolta punti” per ricevere un miracolo mariano, rendono la madre di Darex estremamente attenta alle vicende dell’ultraterreno, a cui unicamente si affida, nel fugace tentativo di difendere la sua fede, evitando il male, il peccato e la bestemmia.
Diventa poi una questione di linguaggio, l’imprecazione e l’insulto, le facili etichette che cancellano qualsiasi tutela, qualsiasi diritto per Darex, usurpato anche del parcheggio a lui dedicato. È nel silenzioso colloquio/monologo con Gesù Cristo che Darex esprime il desiderio di correre insieme al mondo che freneticamente va avanti, correre per il campo di gioco, correre fino al lungomare: “Non devo stare in panchina, devo giocare. Io ti ammiro Gesù, sei un campione, ci vediamo in campo”. Darex si libera dalla sua gabbia e lotta per la sua partita decisiva, quella contro il pregiudizio, quella per libertà, quella per l’amore, quell’amore provato per la prima volta proprio per sua madre, che è Tutto e che deve accettare e avere fede per quel figlio così diverso dagli altri. Ma diverso per chi? Per gli stupidi che ancora non hanno capito dove siamo, come e perché viviamo. “Preferirei essere chiamato Unico e ora ho deciso di andare sul lungomare”, dove finalmente sa di poter volare. Nessuna disabilità, ma l’abilità di essere unici, irripetibili così come ogni essere umano su ogni porzione di questa terra.
Standing ovation meritata, un pubblico commosso, tra cui in prima fila il sindaco Cateno De Luca, ha pienamente promosso Fidelity Card in un Festival che finora non ha sbagliato un colpo, anche nella formula enogastronomica curata dal ristorante ‘A Cucchiara. Prossimo appuntamento lunedì 6 agosto con Lo Scoglio del Mannaro di Simone Corso, presso il Cortile Calapaj-D’Alcontres, strada San Giacomo.