di Clarissa Comunale – Grande debutto ieri al Teatro Vittorio Emanuele di Messina con lo spettacolo Vetri Rotti di Arthur Miller, prodotto da ErreTiTeatro30, regia di Armando Pugliese.
Elena Sofia Ricci è Sylvia, una donna americana ebrea, che viene colpita da un‘improvvisa paralisi alle gambe. Cercando di trovare una soluzione all’annoso problema della moglie, Phillip (Maurizio Donadoni), stimato contabile ebreo della Brooklyn del 1938, si rivolge all’amico medico Herry Hyman (Gianmarco Tognazzi), il quale trova una spiegazione psicosomatica al problema di Sylvia.
Se, esteriormente, il punto iniziale della “crisi“ è incastonato nella ”psicosi da bombardamento“ generata dalle notizie riportate sui giornali dei fatti che stavano terrorizzando il popolo ebraico in Germania (”la notte dei cristalli”), in realtà il dramma di Sylvia affonda le sue radici in una crisi di identità profonda e di genere.
Hannah Arendt riteneva superflua l’esortazione di Scholem a non dimenticare la propria appartenenza ebraica, e difatti l’ebraicitá che emerge dai personaggi di Miller è non solo indiscutibile, alla maniera della Arendt, ma anche patina e scudo di quello che più in profondità cela la psiche umana.
Sono presenti tutti i punti fondamentali della psicologia freudiana e post-freudiana, specialmente quella di Erich Fromm di Psicologia e religione e Avere o essere, il cui concetto di cura dell’anima ha luogo nella presa di consapevolezza del proprio subconscio che invita a prendere possesso di se stessi.
In fondo, l’esigenza di Sylvia nasce dal solo desiderio, fisico e spirituale, di avere amore, un amore che non coincide con quello patinato e distante del suo Phill, troppo attento e concentrato agli affari.
I “vetri rotti” delle vetrine degli ebrei tedeschi, così, arrivano all’animo americano di Sylvia, lacerato dalla paura e dal senso di colpa. E quegli stessi cocci di amore squarciano anche le anime di Phill, che crolla davanti al mondo in velocità, e di Herry, il cui ruolo scientifico e distaccato viene meno davanti alle sue debolezze.
Così, tra le lenzuola di un talamo dimenticato, tutti i personaggi hanno bisogno di liberarsi, di aprirsi a quella voglia di infinito, di novità, ma soprattutto di umanità.