È uno dei guru della televisione italiana e non solo. Esperto di comunicazione, autore e direttore di Rai 4. Stiamo parlando di Carlo Freccero, che ha presentato ieri alla libreria Feltrinelli il suo saggio Televisione (edito da Bollati Boringhieri), uno scritto denso di storia del piccolo schermo che descrive il passaggio generazionale da una tv di maggioranza e di consumo a una tv sempre più frammentata.
In un momento in cui la televisione costituiva per la generazione del ’68 un soprammobile e il cinema, invece, un’indispensabile risorsa culturale, Freccero nel ’79 comincia ad entrare in quel piccolo grande mondo, lavorando in primis con il neoprodotto berlusconiano di Mediaset in una Milano 2 che rasentava immagini di fantascienza: “mi era stato affidato il compito di scrivere le schedine sui film e mi fu offerto un compenso di cinquecento mila lire, non poco per quegli anni. Ricordo che il fatto che allora fossi ricercatore universitario non significava assolutamente nulla per Berlusconi. In quella mia fase lavorativa, notavo che i film che amavo non avevano largo consenso popolare, al contrario di quelli che non amavo: avevo scoperto la parola Audience, che indica proprio tutto ciò che conta per il pubblico, tutto ciò che fa maggioranza e ha valore in un periodo storico, quello del terrorismo, estremamente delicato”. La tv, in quegli anni, contava prodotti come Portobello, archeologia della rete commerciale e strettamente popolare; Costanzo per il contatto con la Gente e tutto ciò che non era colto e Arbore come alternativa a Corrado.
Poi, per Freccero, arriva la Francia, il contatto con i filosofi francesi, la nascita della priva tv privata – La Cinq -, fino alla rottura definitiva dei rapporti con Berlusconi in quanto “credo alla divisioni dei poteri e non penso che si possa fare il direttore di una rete e nello stesso tempo il primo ministro”.
Passato a Rai2 nel ‘96, Freccero ha promosso la contro-programmazione di Luttazzi, Santoro, Fazio fino a comparire come autore di RockPolitik (2005) di Celentano. Si trattava di rispondere alla rete degli ascolti, della maggioranza e del consumo di programmi come il Grande Fratello, che, se agli inizi toccava, stimolava l’immaginario collettivo e rappresentava la società liberista, oggi risulta un prodotto asfittico in quanto industriale, in dissonanza con la società odierna.
Sul suo libro dice: “da una parte c’è la penna del professionista, dall’altra c’è il teorico, perché bisogna sempre coniugare la teoria alla prassi, l’esprit de finesse e l’esprit de geometrie per dirla alla Pascal. È un saggio sulla storia della società italiana attraverso la tv”. Non solo un manager, ma anche un intellettuale che, grazie anche ai suoi studi filosofici, ha saputo miscelare per fare davvero la storia della televisione italiana.
Oggi, nell’epoca del relativismo, abbiamo sistemi sempre più diffusi di informazione e intrattenimento, non a caso Freccero dedica una riflessione al web, rappresentante della contro-informazione, dell’indagine, dell’inchiesta serrata e cruda: “la tv vampirizza tutto, non si può più censurarla. Ogni target oggi ha uno stile di vita, una visione del mondo diversa. Con internet si rompe il muro di maggioranza e ci troviamo in un sistema ibridato e integrato grazie anche ai social network”.
Freccero conclude questo incontro su come potrà essere il futuro della televisione italiana, ritenendo che certamente non verrà soppiantata dal web, ma che si scinderà in due grandi filoni: la tv dei grandi schermi (la produzione in 3D, i grandi eventi) e la smart tv, quella che costa meno, più sporca e che si mastica velocemente. È necessario, quindi, fare non solo una rete di intrattenimento, che possa sedurre e appassionare, ma anche una scientifica, in grado di far capire gli eventi contemporanei, collegando, così, cultura bassa e cultura alta. (CLARISSA COMUNALE)
foto Dino Sturiale, intervista Palmira Mancuso