Il 15 gennaio di venti anni fa un colpo di lupara uccise il professor Matteo Bottari, primario endoscopista del Policlinico universitario e apri il “caso Messina”. In vero, c’erano già state le eliminazioni del Grifo Sansalone e dell’avvocato D’Uva ma furono ritenute marginali rispetto al contesto borghese messinese. Bottari, ucciso nella sua auto, era il genero dell’ex rettore Guglielmo Stagno d’Alcontres ed era braccio destro del suo successore Diego Cuzzocrea. Le indagini della squadra mobile e della Criminalpol, coordinate dal pm Carmelo Marino, pensionatosi mesi fa da procuratore della Corte d’Appello di Ancona, imboccarono subito la pista della gestione degli appalti dell’Ateneo. Intervenne anche la Commissione nazionale antimafia, che sbarcò a Messina l’11 febbraio e in tre giornate di audizioni tracciò un quadro inquietante: la città venne descritta come governata da un “grumo d’interessi” politico-affaristico-mafiosi che avrebbe avuto il suo fulcro all’Università, che gestiva un budget di appalti di 250 miliardi.
I commissari puntarono l’indice sul Palazzo di giustizia e sul sottosegretario agli Interni Angelo Giorgianni, ex magistrato a capo del pool Mani pulite messinese. Si scopri così che la Procura – retta da Antonio Zumbo, cognato del fratello del Rettore – avrebbe avviato centinaia di inchieste per sollevare un polverone e non toccare gli interessi e gli equilibri esistenti. (G.Pensavalli)