di Domenico Mazza – Un orientamento recente, abbastanza nazional-popolare, diffuso soprattutto sui social network, che mira a semplificare la storia della nostra città, ribadisce ai tanti utenti una sintesi di vicende che probabilmente ascoltiamo fin dall’infanzia: la grandezza di Messina prima del terremoto, con i suoi palazzi, i suoi negozi, i suoi commerci e il suo porto con la Palazzata che abbracciava i tanti passeggeri e visitatori che sbarcavano ogni giorno.
È un orientamento, se vogliamo definirlo tale, che si prefigge certamente degli obiettivi alti e giusti; un insieme di valori che dovrebbero appartenere ad ogni cittadino onesto, ma purtroppo si rischia di fare più male che bene perché bisogna sempre fare attenzione a non gettare “il bambino con l’acqua sporca”. Cercherò di essere più chiaro.
Edmondo De Amicis (nella foto), il grande letterato italiano, autore di “Cuore”, il romanzo che per decenni ha forgiato il sentimento nazionale italiano, quando tornò a Messina nel 1906, cinquant’anni dopo aver espletato in città il servizio militare, ebbe a dichiarare: “la bella Messina luminosa, attraente e amabile”. La città gli era rimasta nel cuore.
Tuttavia, De Amicis, sottolineò nello stesso scritto un fatto che merita una riflessione più ampia: la decadenza economica della città a favore della vicina Catania. È vero, Messina aveva un commercio florido e diffuso, il porto brulicava di navi e piroscafi, e la borghesia cittadina, nota sia a livello nazionale che internazionale, era assai produttiva, ma Catania, la “sorella etnea”, aveva da qualche decennio intrapreso un percorso ancora più fecondo che le permise, già alla vigilia del terremoto, di raggiungere Messina in numero di abitanti. Infatti, fino ad allora, la Città dello Stretto era stata seconda solo a Palermo per popolazione.
Se analizziamo le vicende successive al terremoto, quando mancò il “sistema immunitario” che avrebbe potuto aiutare la città a riprendersi in anticipo e con maggior vigore, emerge soprattutto un dato, quello della carenza, in quel determinato momento storico, di uomini di grande levatura e autorevolezza come lo furono Giuseppe La Farina, Giuseppe Natoli o il cardinal Guarino, il più grande vescovo che Messina ebbe, che influì senz’altro sul decorso degli eventi post-sisma.
La Messina del 1908 non aveva un Giovanni Verga, un Luigi Capuana o un Federico De Roberto. Il nostro Tommaso Cannizzaro aveva da tempo, per via dell’età e di un contesto provinciale, perduto quel suo vigore espresso nei decenni precedenti con Victor Hugo e Giovanni Pascoli. In sintesi, la sua influenza culturale e intellettuale non poteva ormai reggere l’urto violento del terremoto.
La Messina del 1908 non aveva un Angelo Musco o un Nino Martoglio, cioè dei giganti del teatro o del cinema che avrebbero potuto tuonare contro le fandonie di governi e governanti.
La Messina del 1908 non aveva una classe politica influente come quelle etnee e palermitane. Mancava un Francesco Crispi, un Di Rudinì, un Maiorana, un marchese di San Giuliano, cioè coloro che a livello nazionale furono tra i massimi costruttori dello Stato moderno italiano alla fine dell’Ottocento. Anche dal punto di vista municipale Messina non aveva un Giuseppe De Felice Giuffrida, il grande sindaco di Catania che fu tra i più attenti sostenitori della resurrezione della Città dello Stretto.
La Messina del 1908 non aveva i Florio, i Whitaker o la “Francesco Monaco & Figli”: nonostante la grande operosità, soprattutto di stampo mitteleuropeo e protestante, le famiglie imprenditoriali messinesi non ebbero un’influenza tale da riuscire a denunciare a livello nazionale i ritardi della costruzione post-terremoto. Se prendiamo ad esempio i Sanderson, che vengono talvolta indicati come i “Florio messinesi”, scopriamo che essi ebbero difficoltà economiche già nei primi anni del Novecento. Basti pensare agli investimenti azzardati da William Sanderson(nella foto) in Patagonia. Dopo il terremoto, essi, così come gli armatori Peirce, lasciarono Messina e trasferirono a Napoli e Roma il centro dei loro affari.
Anche dal punto di vista clericale, a Messina mancò la presenza di un Giuseppe Francica-Nava, il grande arcivescovo di Catania benefattore dei profughi messinesi. Difatti, come emerge da recenti studi, nonostante il grande spirito di carità dimostrato fin dal giorno della catastrofe, monsignor Letterio D’Arrigo si circondò di un governo ecclesiastico gelatinoso che padre Annibale e don Orione descriveranno in maniera dettagliata in alcuni loro memoriali post-sisma.
Forse potrebbero essere fatti altri esempi ma per il momento bastano questi per far comprendere che i presupposti per una mancata “giusta” ricostruzione di Messina sono da ricercare nella “Messina tanto decantata” che affligge l’animo di chi si ostina a non voler fare ragionamenti più complessi.
Una complessità che mette in risalto le sfaccettature fondamentali per ricostruire la storia della nostra città dopo il terremoto.
La “Messina Risorta”, quella degli anni Venti e Trenta, era come Biancaneve che si risvegliava da un lungo sonno: sorsero palazzi bellissimi in stile eclettico e razionalista, isolati e caseggiati con giardini e cortili stupendi, nuove piazze e grandi arterie stradali.
Dal punto di vista economico, la città tornò ricca e ubertosa come lo era stata prima del terremoto: alberghi, grandi catene di negozi e ritrovi di ogni tipo sorti dalle macerie accompagnarono la vita civica peloritana almeno fino agli anni Ottanta.
Superba fu la rinascita culturale, spirituale e intellettuale. Tra le macerie e le baracche sorse l’ingegno di Salvatore Pugliatti, la santità di Giorgio La Pira, la sensibilità di Salvatore Quasimodo. E poi Antonino Giuffrè, Ettore Castronovo, i fratelli Aurelio e Guido Ghersi, i fratelli Fulchignoni e il leggendario Febo Mari. Tra i profughi svolsero il loro principale precetto due grandi santi: Annibale Maria di Francia e Luigi Orione, canonizzati entrambi lo stesso giorno da Giovanni Paolo II.
Il Magistero di Messina, uno dei principali fiori all’occhiello della nuova Università, divenne uno dei principali centri accademici e culturali d’Europa. Qui insegnarono nei decenni successivi al terremoto: Galvano Della Volpe, Adelchi Attisani, Vincenzo la Via, Guido Ghersi, Concetto Marchesi, Ettore Paratore, Giacomo Debenedetti, Carlo Cordié, Antonio Mazzarino, Rosario Romeo, Piero Pieri, Enzo Maganuco, Giorgio Spini, Santino Caramella e tantissimi altri!
In conclusione, è la Messina ricostruita, quella del presente, la città da custodire, tramandare e conservare per evitare che le nuove generazioni crescano con quel complesso del terremotato che accompagna noi tutti fin dall’infanzia. La storia di Messina è stata gloriosa, spesso lo è stata meno, ma la storia più recente è grandissima e tutti hanno il diritto di conoscerla.
- Al fine di evitare fraintendimenti, l’autore ci tiene a rilevare che il suddetto intervento non vuole assolutamente minimizzare gli effetti del terremoto sulla Città e nemmeno le dimensioni storiche della Messina ottocentesca. È ovvio che il terribile sisma, oltre ad aver distrutto un quarto della popolazione della provincia, ha interrotto una serie di effetti che nell’attuale contesto avrebbero aiutato Messina ad essere più competitiva, soprattutto sul piano commerciale e turistico, rispetto alla vicina Catania.