di Domenico Mazza – Da qualche anno ho deciso di condurre ricerche approfondite sul Terremoto che il 28 dicembre del 1908 ha sconvolto le due città di Messina e Reggio Calabria. Sono messinese da 5 generazioni, il mio avo paterno si trasferì a Messina intorno al 1860,ma per molti anni non ho sentito l’esigenza di occuparmi di storia locale né tantomeno di quella che è la pagina storica più drammatica e importante della nostra Messina. Ero cresciuto con la convinzione di vivere in una città dolente, perennemente terremotata nonostante i tanti anni trascorsi dal sisma, priva di futuro e incatenata al suo passato drammatico. Ebbene, la storia di quel tragico giorno, e dei mesi a seguire, fu ben diversa da come è stata raccontata e, presto o tardi, qualcuno renderà conto.
Al momento, quello che ritengo giusto fare da storico, è evidenziare ben cinque “fake news” sulla vicenda del terremoto. Badate bene, non è cosa da poco, perché alcune di queste notizie, prive di fondamento, hanno spesso determinato il modo di vivere, sia civile che politico, della nostra città negli anni della ricostruzione.
IL MAREMOTO: Come aveva avuto modo di affermare l’indimenticato Franz Riccobono (e insieme a lui tanti altri storici), nessun maremoto con onde alte 10 metri investì il centro cittadino, nessuno tsunami spazzò via quel che restava del porto e della palazzata. A parte qualche testimonianza, da ritenere comunque attendibile, riguardo una forte ondata nella zona bassa di Via Primo Settembre, a ridosso della stazione, non ci sono prove a proposito di uno tsunami fin dentro la città. Tanto è vero che la questione è stata definitivamente risolta qualche tempo fa con la pubblicazione di una tabella che “misurava” la furia del mare nell’area dello Stretto il 28 dicembre. Ebbene, ad essere flagellate dal maremoto furono la costa calabra e alcune zone della costa jonica messinese, in particolare Sant’Alessio Siculo. Anche nella zona di Galati si registrarono onde violentissime.
IL NUMERO DELLE VITTIME: I morti furono decine di migliaia, sia a Messina che a Reggio. Per tanti anni è stata diffusa la cifra di 80mila morti nella sola Messina (a volte si indicava la provincia ma era un errore) ma il dato fu enormemente influenzato dall’azione giornalistica del tempo, la quale, non si capisce bene perché, cominciò a “sparare” cifre sulle varie prime pagine. Lo si evince da alcuni articoli raccolti nel 1962 da Francesco Mercadante nella sua colossale opera “Il Terremoto di Messina”, un libro di quasi mille pagine troppo spesso dimenticato. Grazie al recente lavoro di ricerca e analisi di documenti da parte della docente universitaria Luciana Caminiti e di alcuni suoi collaboratori, possiamo oggi affermare con certezza che le vittime a Messina non furono 80mila ma sicuramente non più di 30mila. Una cifra comunque tragica che non ridimensiona il dramma di questa vicenda.
LA FUGA DEL SINDACO: Per anni i libri di storia, anche alcuni testi recenti, hanno dato per certa la fuga di Gaetano D’Arrigo (lo stesso don Orione la diede per certa), il sindaco cattolico di Messina, uno dei leader della fazione clerico-moderata nonché fratello dell’Arcivescovo. Secondo alcune cronache del tempo, il primo cittadino, impaurito e disperato, cercò di fuggire dalla città distrutta. Ma fuggire dove? Ebbene, questa fu una volgare calunnia montata dal prefetto dell’epoca, Adriano Trinchieri, personaggio assai controverso che troppo spesso gode della parte di figurante. Fu lui a riferire agli alti comandi militari, il 28 e 29 dicembre, della fuga del sindaco, e questi lo riferirono in seguito a Vittorio Emanuele III, il quale scacciò malamente D’Arrigo la mattina del 30.
LE ESECUZIONI SOMMARIE: Questa è sicuramente una delle pagine più tristi e buie delle giornate successive alla distruzione. È assai probabile che fucilazioni sul posto vi furono nelle 48 ore successive al sisma per mano di marinai stranieri e italiani privi di comandi e ordini. Dobbiamo immaginare (non è storia se non si contestualizza) che almeno fino all’arrivo delle truppe di rinforzo da Palermo, la città fu nelle mani di nessuno, con una società civile svanita improvvisamente per far posto alla barbarie e alla disperazione. Ciò nonostante, lo stato d’assedio, instaurato con la nomina del generale Mazza a Regio commissario, riuscì a imporre un ordine in città e ad agevolare le prime operazioni di soccorso. Per molti anni, si è discusso sulla durezza di quello che fu sostanzialmente uno stato di guerra (è innegabile) ma dobbiamo assolutamente ritenere infondata la notizia, giunta granitica fino ad oggi, di esecuzioni sommarie avvenute nei due mesi d’assedio. A gennaio e febbraio, infatti, ad avere giurisdizione penale fu un tribunale militare che non pronunciò alcuna condanna a morte (l’elenco delle condanne è consultabile sull’ultimo numero di Ordini e Notizie di Micheli) Quindi, le esecuzioni sommarie avvennero o no? Certo che sì, ma nei giorni precedenti alla proclamazione dello stato d’assedio il 2 gennaio 1909.
IL GENERALE FRANCESCO MAZZA: Insieme al presidente del consiglio Giolitti è ritenuto il principale colpevole del ritardo dei soccorsi. Tra i principali accusatori di Mazza, commissario con pieni poteri, vi furono in quegli anni importanti esponenti della politica nazionale e locale come Francesco Lo Sardo, il quale, dai banchi del consiglio provinciale, fu il primo ad accusare Mazza di organizzare banchetti e feste sulle navi militari. Inoltre, come si evince dalla relazione di fine mandato, Mazza si macchiò di un’indecenza (è lui stesso ad ammetterlo, ritenendola tuttavia una misura necessaria), cioè quella di vietare la distribuzione di viveri ai profughi presenti in città per evitare il sorgere di insediamenti permanenti. Il suo intento era, infatti, quello di sgomberare completamente la città, ma gli fu impedito dall’intervento congiunto dell’onorevole Micheli e dell’arcivescovo D’Arrigo. Tuttavia, fino ad oggi, quello di cui si è maggiormente discusso, riguarda i “famosi bombardamenti di Mazza contro la città”: nulla di tutto ciò è mai accaduto. A febbraio, Mazza lasciò la città definitivamente a conclusione del suo mandato per tornare a Roma. A “bombardare” la città, invece, imbottendo di dinamite chiese e palazzi rimasti integri (erano decine, compreso il Municipio), ci pensarono gli speculatori di casa nostra, moltissimi dei quali legati alle potentissime logge massoniche cittadine. In seguito Mazza venne nominato senatore del regno per i suoi meriti e morirà a Roma nel 1924, alla vigilia di nuovi sconvolgimenti, stavolta politici. Venne così ricordato dal ministro Antonino Di Giorgio, altro messinese dimenticato, nel corso della commemorazione che si tenne in Senato il 29 maggio 1924: “Alla memoria del generale Mazza, oltre che come ministro della guerra, rivolgo un reverente saluto come messinese per l’opera benefica e nobile che egli svolse in occasione del disastro del 1908”.