di Domenico Mazza – Le recenti dichiarazioni del presidente Mattarella sulla tragedia dell’8 settembre meritano un ulteriore momento di riflessione rispetto a una delle date più divisive nella storia d’Italia. Copio dall’Ansa:
“L’8 settembre 1943 fu, però, l’ora del riscatto. Dei militari italiani che si batterono, a Porta San Paolo, a Roma, così come nelle isole del Mediterraneo, nei Balcani, pagando a caro prezzo la loro fedeltà alla Patria. Dei cittadini che avevano da tempo abbandonato ogni fiducia nei confronti degli stentorei e vacui proclami della dittatura di Mussolini. Si fece strada, nel Paese, la coscienza di un nuovo inizio”.
Le dichiarazioni del Capo dello Stato sono ineccepibili, poiché vanno considerate nel contesto in cui vengono pronunciate: l’Italia libera, democratica e pluralista nata dalle ceneri lasciate dal nazifascismo.
Sergio Mattarella, nel corso degli anni, ha ribadito più volte la sua totale condanna nei confronti del nazifascismo, che è cosa diversa dal fascismo. Si pensi al momento di raccoglimento al memoriale dell’eccidio delle Fosse Ardeatine quando fu eletto Presidente. Un gesto che commosse un’intera Nazione.
Ma cosa rappresentò il connubio tra fascismo e nazismo? Potremmo definire il nazifascismo come l’evoluzione ancora più brutale del già brutale squadrismo degli anni precedenti. E di fronte a questa brutalità io la penso come i tanti che furono deportati, martoriati, torturati; come i familiari di chi non fece più ritorno.
Tuttavia, le dichiarazioni di Mattarella meritano una riflessione in più, al netto del contesto costituzionale accennato in precedenza. Cosa accadde realmente l’8 settembre del 1943? Fu una riscossa in senso stretto?
Chi preferisce parlare di “riscossa democratica” non fa altro che evidenziare il fallimento del proposito reazionario della Corona di salvare la causa conservatrice con un cambiamento di fronte. Fallimento sancito dal rifiuto “rivoluzionario” del popolo di combattere. Questo impedì, a guerra terminata, la sopravvivenza dell’istituto monarchico.
Non sono mai stato completamente d’accordo con questo orientamento suggestivo. Io credo che in quei giorni gran parte della popolazione ebbe piena coscienza della tragedia che si stava consumando. Furono numerosi i militi a battersi ma è innegabile che la maggioranza dei soldati decise di non combattere perché i militari furono lasciati senza una chiara direttiva. La colpa del governo Badoglio, del re e degli alti comandi militari che fuggirono a Brindisi fu inescusabile, poiché vennero meno alla coerenza di un piano che, seppur predisposto nell’interesse nazionale, fu ribaltato dai fatti.
Sarebbe stato necessario che il re parlasse all’esercito e al popolo, mettendo in rilievo la questione. Ma egli tradì vergognosamente. Le cose andarono così tragicamente che a conclusione di questa riflessione, abbastanza diffusa nel dopoguerra, c’è da chiedersi se veramente valeva la pena cambiare fronte. La storia non si fa con i “se”, ma in questo caso l’interrogativo aiuta a rendere efficace parte delle osservazioni addotte. Cosa sarebbe successo se l’Italia non avesse cambiato di fronte giungendo alla capitolazione del 1945 con l’alleato tedesco? Lascio la risposta a voi lettori.
Torniamo alle osservazioni al centro di questa dissertazione. L’Italia del 1945 non ebbe alcuna concreta rispettabilità internazionale. Solo gli Stati Uniti d’America decisero di porgere la mano all’Italia umiliata, nel frattempo passata sotto la guida di Alcide De Gasperi. Con Washington come principale punto di riferimento, che si sostituiva alla Roma imperiale ma non alla Roma papalina, la nuova democrazia si apprestava a diventare uno dei principali attori del nuovo ordine occidentale contrapposto al blocco comunista orientale. Fu questo il risultato naturale della “riscossa democratica”?
Sergio Mattarella è l’ultimo esponente di quelle sinistra democristiana fondata da Giuseppe Dossetti nel dopoguerra ma il Capo dello Stato non è più uomo di parte bensì custode dei principi della Costituzione. Tuttavia, è con le parole e le riflessioni di Dossetti che intendo rispondere a quest’ultima domanda in conclusione di questo pensiero. Nel 1947 Dossetti comprese per primo che la contrapposizione tra Occidente e Oriente sullo sfondo della Guerra fredda comportò lo svanimento dell’autonomia nazionale italiana. Infatti, secondo Dossetti, di fronte a questo scenario l’Italia perdeva la propria autonomia, un sentore che De Gasperi, invece, non ebbe nonostante la situazione che si era determinata all’indomani dell’esclusione dei comunisti di Togliatti dal governo del Paese. Fu allora occasione mancata?