di Domenico Mazza – «Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!». Così si esprimeva il segretario della Democrazia cristiana Amintore Fanfani alla platea nissena il 26 aprile 1974. Impegnato nella durissima campagna elettorale sul referendum sul divorzio, conclusa con la vittoria del fronte del SI e la sconfitta (non dura) del fronte del NO capeggiato dalla Dc e dal Msi. Queste parole, rivolte a un pubblico conservatore del profondo sud dell’Italia (non avrebbe mai detto le stesse cose di fronte a un pubblico lombardo o piemontese), per certi versi hanno rappresentato, e rappresentano, una “profezia”: il leader democristiano aveva compreso che quella sfida simboleggiava un appuntamento con la storia utile a distinguere la civiltà dalla barbarie. Questo è un dettaglio sul quale non bisogna assolutamente sorvolare.
Parafrasando il grande filosofo napoletano Giambattista Vico, la Civiltà si afferma nel momento in cui non vengono dati in pasto i cadaveri: per lui l’uso della sepoltura dei morti, insieme al concetto di religione e allo strumento del matrimonio (elementi che per il momento tralasciamo), è uno delle tre istituzioni civili che fanno uscire l’essere umano dalla condizione della “bestia”. Il messaggio vichiano, quindi, appare utile per riaffermare un concetto che è il fulcro della questione che qui si pone: la civiltà si evolve e ha bisogno di continue affermazioni. E nel 1974 la vittoria del SI al referendum sancì, per la prima volta dal 1946, che la società italiana non era la stessa dell’amara scelta tra Monarchia e Repubblica. Lo aveva sottolineato Pier Paolo Pasolini, secondo cui «il 59 per cento dei ‘no’ non sta a dimostrare, miracolisticamente, una vittoria del laicismo, del progresso e della democrazia”. Piuttosto dimostra che l’antica Italia è crollata e i nuovi ceti medi hanno abbracciato “i valori dell’ideologia edonista e del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di tipo italiano». Ma la questione è più complessa e pluralista rispetto al “rammarico pasoliniano”, scandalosamente di rottura nel mondo della sinistra italiana e strumentalizzato da una destra che non ha mai investito su una classe dirigente moderna, a fronte di una sinistra che ha perduto il dialogo con il proprio elettorato, non comprendendo le reali esigenze di una società italiana che, dopo il “divorzio” e “l’aborto”, non è riuscita ad accedere al più fondamentale dei diritti: la giustizia sociale.
La sinistra italiana, nello “smarrimento postcomunista”, non ha compreso che la strada da percorrere dovesse essere quella della giustizia nel suo momento sociale e solidale. Piuttosto, ha permesso che una questione importante, come quella dei diritti civili, fosse da ricomprendere tra le categorie assiologiche riconducibili alla giustizia sociale. I radicali italiani, intelligentemente, hanno sempre evidenziato il sistema di valori che distingueva diritti civili da diritti sociali, ma la loro condizione di forza di estrema minoranza non ha permesso, e qui torniamo alla questione primaria, di contribuire massicciamente a quelle nuove affermazioni invocate dalla società italiana.
Il 18 marzo 2023, a Milano, la grande questione che si cerca di porre è stata riproposta con tutte le sue contraddizioni e storture. Tutto è iniziato quando il Prefetto di Miliano, Renato Saccone, ha «chiesto al Comune di interrompere il riconoscimento alla nascita dei figli delle coppie gay e lesbiche, avvertendo che in caso continuino dovrà essere richiesto l’intervento della Procura per annullarle. Lo stop riguarda i nuovi atti di nascita» (fonte: Corriere della Sera). Le dichiarazioni dell’alto funzionario hanno subito le dure reazioni del sindaco di Milano Beppe Sala che sul tema ha promesso battaglia. Secondo il “Corriere della Sera”, il primo cittadino aveva deciso di intervenire in prima persona, usando i suoi poteri di capo dell’ufficio di stato civile, perché parlamento e governo non avevano colmato il vuoto di legge sulle famiglie gay e lesbiche, nonostante le ripetute sollecitazioni della Corte costituzionale: «Quando gli altri non si muovono, devo sentire il dovere di fare la mia parte» aveva detto».
Ma perché il legislatore italiano non interviene? Ma soprattutto quale dovrebbe esser l’oggetto di questo intervento? E qui torna a farsi sentire il “vento fanfaniano”. Il noto quotidiano Libero, diretto da Alessandro Sallusti, titolava in prima pagina il 19 marzo, giorno della festa del papà: “Donne che odiano le donne. Il corteo per l’utero in affitto. Schlein e Appendino in piazza chiedono una legge per i figli delle coppie gay”. Un titolo che ha avuto una risonanza mediatica importante, di ampio consenso, frutto dell’affermazione di una cultura (non solo di destra) che si nutre dello stato confusionale della sinistra italiana: i comunisti col rolex. Invero, è stata posta una questione fondamentale in quella piazza: il riconoscimento genitoriale per le coppie omosessuali.
Bisogna essere fin da subito chiari: l’attuale classe dirigente italiana, da destra a sinistra passando per il centro, non approverà mai una legge che favorisca un tale riconoscimento: “La famiglia è tra un uomo e una donna” tuonano a destra (il 17% delle donne italiane tra i 28 e i 42 anni ha scelto di non avere figli), “non esiste la famiglia tradizionale” ribattono a sinistra (i single in Italia sono il 14% della popolazione e nessuno ha compreso le proprie esigenze, in primis la sinistra che li accomuna ai ricchi privilegiati consumatori), “la maternità surrogata non è una strada eticamente accettabile” dichiara frettolosamente Carlo Calenda dal centro. Tuttavia, il leader di Azione pone l’importante questione dell’adozione alle coppie omogenitoriali (il tempo medio per adottare è di circa 500 giorni dal momento di presentazione della domanda e può costare fino a 18mila euro). Impensabile in (questa) Italia!
Del diritto ad essere genitori biologici si parla davvero poco nel nostro Paese. È un diritto complesso e trasversale che molte nazioni sono riuscite a regolamentare e positivizzare nonostante le opposizioni. Il nostro paese ha scelto la via “tradizionale” da un lato e la via “disinteressata” dall’altro. In fondo, il Parlamento italiano, dal 1992 ad oggi, non è riuscito ad approvare nemmeno interventi popolari come il testamento biologico o la cannabis terapeutica, figuriamoci una legge base sulla omogenitorialità. Infatti, se osserviamo la vita legislativa del nostro paese a 360 gradi, avvertiamo una generale chiusura del nostro legislatore, chiamato ad affrontare il futuro con spirito costruttivo e non con pregiudizi ideologici, i quali rappresentano l’ingabbiamento delle idee.
Discutere di omogenitorialità. tuttavia, impone un vaglio superiore rispetto alla surrogazione di maternità.
La maternità surrogata meriterebbe, nonostante le tante riserve, lo spirito costruttivo evocato. Volgarmente definita “utero in affitto”, la maternità in senso altruistico o GPA (gestazione per altri) è il tema sociale che più accende gli animi improduttivi del dibattito politico e sociale. La verità è che la GPA va regolamentata nel senso più solidaristico e fraterno possibile per evitare che si creino delle storture o, peggio, trasformi la genitorialità in un diritto di classe, riservato a chi si può “comperare” una donna che, per soldi e condizione di povertà, concede il proprio corpo per partorire un bimbo di altri.
Ma la questione posta è di più ampio respiro! Ad esempio, se una donna non può avere figli perché non chiedere alla sorella di surrogarsi? Questo il legislatore di destra non riesce ad affrontarlo mentre il legislatore di sinistra, ormai privo di credibilità e autorevolezza, non riesce a imporlo.
Ma torniamo al problema. Le coppie italiane omogenitoriali, per i motivi giuridici e eticamente imposti, non possono né adottare né avere figli biologici da una madre altruista. La maggior parte di loro, per poter accedere alla genitorialità biologica, si rivolgono soprattutto a centri specializzati in Canada e negli Usa, le due più grandi democrazie del mondo occidentale. Si tratta di procedimenti costosi (anche 200mila euro) che si risolvono nella nascita di un bambino o di una bambina.
Attualmente, in assenza di una legge, in Italia non è possibile trascrivere all’ufficio anagrafe l’atto di filiazione straniero includente entrambi i padri o le madri. Il problema. tuttavia, appartiene soprattutto agli uomini o, comunque, quando i soggetti richiedenti non hanno entrambi il rapporto biologico con il nascituro. E qui, interviene il Prefetto che ha vietato la trascrizione di simili atti, autorizzati invece dal sindaco: siamo alla bulimia istituzionale.
La questione potrebbe essere risolta soltanto sensibilizzando da un lato (missione ardua) l’opinione pubblica sul fine, che è quello della nascita, e nell’altro incoraggiando la classe politica di sinistra a tornare sociale, liberale e popolare: la segretaria Schlein abbia il coraggio di depositare alla Camera una proposta di legge sulla maternità altruistica e solidale a favore delle donne che non possono avere figli! Questo passo in avanti, permetterebbe la nascita di un dibattito con risvolti positivi per il futuro. Nella stessa proposta, vengano prescritti anche i limiti invalicabili di questa solidarietà, cioè lo sfruttamento e la schiavitù, il mercimonio e la speculazione. Sia una legge contro quell’ipocrisia di fondo, per cui l’Italia è il paese con il più basso tasso di crescita demografica in Europa, è il Paese che non permette alla maggioranza degli stranieri in regola di stabilirsi permanentemente sul nostro territorio, è il Paese che non investe sui single (circa 7 milioni). Ad esempio, perché non permettere l’adozione ai tanti scapoli e zitelli economicamente e psicologicamente idonei? Come vediamo, la decrescita demografica potrebbe essere risolta domani mattina ma si preferisce perseguire schemi astratti.
Tuttavia, in Italia si è passati dalla “Lentocrazia” evocata da Spadolini, alla chiusura totale dello Stato di fronte a questioni cruciali. In un mondo sempre più dinamico e globalizzato, la funzione legislativa con i suoi tempi sta per essere sostituita dalla forza governativa che detta i tempi e le priorità. A parte la “patente a punti”, l’Italia si conferma il paese delle riforme mancate. Deputati e senatori, partiti e movimenti, in quest’ultimo ventennio non hanno permesso ai cittadini e alle cittadine di poter adempiere completamente alla realizzazione una politica nazionale efficace e matura come auspicato dall’articolo 49 della Costituzione, una disposizione che prevede che i partiti costituiscano il luogo naturale per i cittadini di associarsi liberamente.Un elemento che, per l’appunto, distingue la civiltà dalla barbarie, la maternità altruistica dall’utero in affitto.