Il Pink Project è tra i Centri Antiviolenza più prossimi territorialmente al luogo in cui si è consumato il femminicidio di Maria Bonina Buttò, uccisa dal marito che poi si è suicidato. Dalla Presidente, dal Direttivo, dalle Operatrici, dalle Socie, dalle Volontarie, dalle Legali, e dalle Consulenti è giunto in redazione un appello che pubblichiamo integralmente:
“Come Centro Antiviolenza riceviamo centinaia di contatti l’anno. Di donne che chiedono informazioni per capire meglio chi siamo e cosa facciamo. Di donne che vogliono essere supportate nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza. Contatti di amici e familiari di donne che subiscono violenza, che vogliono capire come aiutare a far chiedere aiuto. Contatti dalle istituzioni per l’attivazione della rete di supporto. Contatti dalle Forze dell’Ordine per sostenere le donne durante le denunce. Contatti da altri Centri Antiviolenza e dalla Case Rifugio per condividere informazioni utili ai percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Migliaia di messaggi, email, chiamate. Non ci fermiamo mai. Non ci risparmiamo e mettiamo le donne e la loro sicurezza sempre al primo posto. Ci affianchiamo a loro, ogni giorno, nella difficile e spesso tortuosa strada di libertà dalla violenza. Condividiamo piccoli e grandi traguardi, cadute e grandi sforzi per rialzarsi e ricominciare, anche nei tribunali e nei servizi territoriali, dove a volte le cose vengono rese più difficili da erronee letture del fenomeno, derubricato a conflittualità.
Viviamo ogni giorno la fatica, la difficoltà, la lotta, la resistenza. Conviviamo e combattiamo con la frustrazione di non salvarle tutte. Come oggi, che ci svegliamo leggendo che a pochi passi da noi si è consumato un nuovo femminicidio. L’ennesimo femminicidio.
Ora tutto è meno ovattato dalle distanze. Il nostro dolore è palpabile, la rabbia contagiosa, la frustrazione disorientante.
Maria Bonina Buttò è stata uccisa da chi le aveva promesso amore e rispetto.
È accaduto a Gioiosa Marea. L’assassino è il marito e poi si è suicidato. Un copione che si ripete. Monologhi nelle interviste che si ripetono.
“Era una coppia affiatata”.
Ci chiediamo, allora, ancora una volta, come sia stato possibile tutto ciò, se niente avrebbe mai lasciato spazio ad immaginare che un atto così violento potesse accadere.
Ma, ahimè, il FEMMINICIDIO di Maria è un’ulteriore triste conferma di un fenomeno purtroppo sempre attuale e diffuso, che ci obbliga ancora una volta ad una riflessione e ad una assunzione personale e collettiva di responsabilità.
Se da un lato è il momento di tacere e stare vicini alla comunità, alla famiglia di Maria, ai suoi amici ed alle sue amiche, alle sue figlie, dall’altro è anche il momento di parlare! Di urlare! Di ripensare ai segnali che non abbiamo colto o voluto cogliere, perché normalizzati nel vivere quotidiano di uomini che odiano le donne, di uomini che uccidono le donne, di uomini che limitano le donne, di uomini che imprigionano le donne fino alla morte, a volte.
Perché anche le donne che sopravvivono alla violenza sono un po’ morte. E queste “morte” non possiamo contarle e raccontarle tutte, perché molte non le conosciamo e loro stesse non si riconoscono, perché sopravvivono ma non sanno di sopravvivere alla violenza.
Non ci interessa oggi conoscere “il movente”, perché per noi non esiste né esisterà mai un motivo. Non ci sono, in questo momento, elementi ed informazioni sufficienti per comprendere davvero il quadro completo della realtà fattuale, ma sappiamo che la violenza maschile sulle donne è un fenomeno trasversale, le cui cause vanno ricondotte ad uno strutturale squilibrio di potere tra uomini e donne, in cui si nega alla donna il diritto all’autodeterminazione. Sappiamo pure, che il femminicidio non è conseguenza di un raptus di follia o di una temporanea perdita di controllo, ma spesso, è preceduto da un periodo più o meno lungo di violenze e maltrattamenti o da una annunciata o iniziata separazione o rottura informale della coppia.
Chiudiamo mettendoci a disposizione della comunità e della famiglia di Maria con tutti i mezzi a nostra disposizione, offrendo la nostra vicinanza ed il nostro supporto materiale e morale.
Esortiamo le donne che vivono una condizione di malessere a causa della violenza ma anche le amiche e gli amici, i partenti, le figlie ed i figli, i vicini di casa, le colleghe ed i colleghi di lavoro che colgono segnali di allarme, di disfunzione, di pericolo, a CONTATTARE IL CENTRO ANTIVIOLENZA PIU’ VICINO. I Centri Antiviolenza sono luoghi sicuri ed accoglienti in cui è possibile leggere in tempo il fenomeno ed intervenire prima dell’irrimediabile. Nei Centri Antiviolenza sono garantite privacy ed anonimato. Operatrici esperte possono sostenere sia la donna che subisce violenza, sia chi le sta vicino e vuole aiutarla.
I Centri Antiviolenza Pink Project si trovano a Capo d’Orlando e Sant’Agata di Militello e rispondono ai numeri 0941 054182 e 0941 1950733. Sono reperibili tutti i giorni dell’anno.
f.to