L’Unione degli Universitari di Messina si sono ritrovati ieri pomeriggio, nel cortile del Dipartimento di Scienze politiche, per fermarsi a parlare su quanto è accaduto in queste settimane e per opporsi a un modello di competizione e di “merito” che produce vittime.
Ha scosso l’intera comunità studentesca la recente notizia di una studentessa di 19 anni di Milano, che ha scelto di togliersi la vita perché credeva di aver fallito nel conseguimento degli esami.
Purtroppo non si tratta di un caso isolato; infatti, la settimana precedente, uno studente di Palermo di 22 anni si è suicidato prima dell’inizio della sessione degli esami, lasciando un biglietto con su scritto “fallimento, università e politica”.
Nella società in cui viviamo non contano difficoltà, ostacoli e disturbi, ma vince sempre la ricerca del successo, la competizione e l’esaltazione dell’eccellenza prodotta da un illogico culto della performatività, in cui più si produce e meno si riposa, maggiore sarà il rendimento.
Peccato però, che a pagare le conseguenze sono gli studenti stessi.
La narrazione giornalistica continua a concentrarsi su sporadici casi di ragazzi prodigio e super laureati, dimenticando che il successo negli studi talvolta non è il frutto esclusivo di impegno e preparazione. Inoltre, non possiamo accettare che la società continui a ritenere che chi rimane indietro valga di meno.
I casi di suicidio sono intollerabili. Questo pomeriggio lo abbiamo voluto dedicare a Francesco, Riccardo, Claudio, Andrea, Mariano, Alberto, Matteo, Stefano e a tutte le persone che non ci sono più, perché la nostra società non è stata in grado di farle sentire accolte.
Sono storie di ragazze e ragazzi che non riescono a soddisfare gli standard che vengono richiesti.
La narrazione a cui siamo abituati ci sottopone a continuo stress, isolando chi si trova in difficoltà.
A scuola e nelle Università ci viene insegnato che il nostro valore dipende solo ed esclusivamente dai nostri voti.
È necessario ripensare il modello d’istruzione nel nostro Paese.
Non possiamo continuare a vivere le nostre carriere universitarie come una perenne competizione, come una gara a chi raggiunge il risultato più alto nella quale chi non vince diventa automaticamente un fallito.
Non possiamo stare zitti davanti alle morti di ragazze e ragazzi che scelgono di mettere un punto alla propria vita.
Questo sistema universitario, se rimane immutato, continuerà ad uccidere.
Per evitare casi del genere e sviluppare un modello migliore, occorre investire su un sistema accademico in grado di insegnarci che non siamo numeri, ma persone.
Serve schierarsi contro il merito che uccide, senza lasciare indietro nessuno.