di FraPè – Ci sono quei clochard che anche se non hai parlato con qualcuno di loro, fanno parte del tuo mondo perché li vedi camminare per la stessa strada che percorri abitualmente o “parcheggiati” su qualche panchina o su qualche marciapiede in un luogo più o meno riparato. Panebianco, conosciutissimo a Messina era uno che non passava inosservato: le cuffie colorate appoggiate sulla testa o alla nuca, a volte con una coperta addosso, altre volte con un giaccone più grande rispetto alla sua taglia, percorreva quasi tutta la città.
Ieri sera dopo aver consumato la cena a Casa Aurelio in via Emilia, gestita da Santa Maria della Strada, Guseppe Pane Bianco ha accusato un malore, per tornare alla Casa del Padre subito dopo l’arrivo del 118.
Ciò che mi preme evidenziare è che Giuseppe ha chiuso gli occhi attorniato da persone che gli hanno voluto bene, che lo hanno accudito rispettando la scelta di vivere in strada e di andare a consumare un pasto o fare una doccia quando lui riteneva opportuno.
Non oso immaginare le strumentalizzazioni che sarebbero nate se Giuseppe fosse morto in strada.
La morte di Giuseppe in casa di accoglienza è la dimostrazione che le associazioni, i servizi sociali, la Chiesa non stanno a guardare ma nel silenzio accolgono, rispettano e soprattutto amano, perché è l’amore verso l’altro che fa la differenza. Tutto il resto serve solo a strumentalizzare, a puntare il dito, a denigrare e ad infangare ciò che piano piano nel bene o nel male si sta costruendo da anni.
Il corpo di Giuseppe attualmente è presso l’obitorio dell’ospedale Papardo. (www.ilsycomoro.it)