Umanità Nova, la storia anarchica e necessaria della Compagnia Carullo Minasi

di Palmira Mancuso – Nell’arte le incompiute lasciano al pubblico la libertà di entrare nel luogo più misterioso dell’animo umano, quello in cui l’artista crea. E questo fascino è presente nel monologo proposto dalla Compagnia Carullo Minasi, che ha condiviso col pubblico del Teatro Cortile Festival, un primo studio su un testo originale, titolato Umanità Nova, con la drammaturgia di Fabio Pisano. Una storia “che in un modo o nell’altro senti di dover conoscere e raccontare”: una storia di anarchia, in riferimento non solo al giornale fondato nel febbraio del 1920 da Errico Malatesta, ma anche all’attuale organo della F.A.I. (Federazione Anarchica Italiana) la cui storia comincia nel 1909 ad opera di Ettore Molinari e Nella Giacomelli.

Un testo a cui ha dato corpo, nel senso più teatrale del termine, Giuseppe Carullo: la sua fisicità è diventata strumento di rivoluzione, quella che parte in famiglia, nel rapporto col padre per fine alla società, la stessa che dinanzi alla diversità sceglie di non vedere. La poliomielite come l’anarchia, malattie con cui bisogna imparare a convivere, come spiega il protagonista…

Ecco che il teatro stesso diventa quel “cartellone invisibile” che la gente non legge, perchè non riconosce il linguaggio, non lo vede nemmeno. L’anarchia, infatti, come ribadito in scena, “fa più paura del fascimo, non è controllabile”.

Uno spettacolo politico, necessario in questi tempi, coraggioso nel suo affermare il ruolo della parola, ripercorrendo le tappe fondamentali di una vicenda che si è conclusa drammaticamente, in un incidente che ha ucciso non solo il protagonista ma l’innocenza di una intera generazione.

Gli anarchici della Baracca erano un gruppo di cinque ragazzi che persero la vita in un misterioso incidente stradale verificatosi nella notte del 26 settembre 1970, mentre si trovavano in viaggio verso Roma per consegnare a dei loro referenti materiale di denuncia riguardante la Strage di Gioia Tauro, avvenuta il 22 luglio 1970, e i contestuali fatti della rivolta di Reggio Calabria.

L’appellativo deriva dalla villa Liberty, nei pressi di Reggio Calabria, dove i giovani di area anarchica usavano ritrovarsi, la cosiddetta “Baracca”, un edificio costruito come alloggio d’emergenza dopo il terremoto del 1908 e diventò centro d’aggregazione per gli alternativi reggini negli anni sessanta. Un luogo fisico, dunque, ma che rappresentava anche lo spazio della visione politica, dell’elaborazione del pensiero.

Alla messa in scena del primo studio seguiranno il segmento dedicato ai moti e quello che riguarda l’incidente: e noi nell’attesa di tornare ad essere privilegiati spettatori, curiosiamo in una vicenda che grazie alla volontà degli autori apre uno squarcio in un passato recente quasi destinato ad una damnatio memorie che nei fatti ha ottenuto il risultato di accentuare un divario politico che negli anni della ricostruzione post bellica era meno limitante tra nord e sud, un periodo in cui gli anarchici nello Stretto, a Reggio come a Messina, pagavano il prezzo di una utopia che li ha resi eroici e ingenuamente vittime.

 

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