Il Gruppo di Iniziativa e di Resistenza Civica “RispettoMessina” interviene sulle ultime vicende relative alla zona falcata. “Dopo decenni di silenzi, omissioni, complicità, collusioni e contenziosi strumentali, nel corso dei quali la zona falcata di Messina è stata utilizzata anche per la localizzazione di impianti industriali inquinanti, quali la stazione di degassifica e la SMEB, oltre che di un inceneritore, da cui per tanti anni, nella indifferenza generalizzata, si diffondevano miasmi insopportabili e fumi tossici, viene finalmente codificato dai lavori di caratterizzazione del suolo e del sottosuolo di una larga parte di quell’area, che ci si trova in presenza di un sito non soltanto fortemente inquinato, ma contaminato da sostanze nocive e dannose per la salute.
E dopo la conferenza stampa da cui è emerso che abbiamo convissuto con “la diossina” ed altre sostanze chimiche presenti in un’area accessibile e collegata con il centro città, stentiamo a riscontrare reazioni, più o meno sdegnate, che sarebbero quanto mai opportune dopo il silenzio omertoso che ha caratterizzato questa realtà vergognosa nel corso del tempo.
Una vicenda che è stata attenzionata formalmente con quel “patto per la Falce” sottoscritto, dopo varie vicissitudini, dai rappresentanti pro tempore dell’Università degli Studi di Messina, del Comune di Messina e dell’Autorità Portuale, Navarra, Accorinti e De Simone. Patto reso possibile, però, solo dopo la messa in liquidazione dell’Ente Autonomo Portuale e la fine dell’assurdo contenzioso sulla gestione della stessa area demaniale.
Ma negli anni precedenti alla stipula del “patto”, che prevedeva anche gli interventi effettuati e portati a compimento successivamente, e fino al 2015 si sono verificati tentativi di riutilizzare quella zona per realizzare depositi di gasolio e di olii refusi e di impianti di smaltimento dei rifiuti petroliferi, che avrebbero portato le petroliere accanto alla “Cittadella”.
Nello stesso tempo abbiamo assistito a visite istituzionali o “passaggi elettorali” durante i quali venivano proposti mirabolanti ipotesi progettuali senza che venisse fatto cenno alla situazione di pericoloso degrado dell’area. Si assisteva così ad una amnesia collettiva, interrotta da qualche voce isolata o da qualche riflessione che definiva quella zona come “la rotta dei veleni”.
Ma adesso che si è a conoscenza dell’impatto ambientale pesante, sarà necessaria una bonifica totale e profonda che implicherà importanti interventi finanziari, che, da soli, gli enti locali e territoriali non sono in condizione di poter assicurare, e che per essere attuati necessiteranno degli apporti del Governo Nazionale e dei Ministeri di settore.
Ed è ipotizzabile che si possa pensare per sveltire le procedure o ad una “legge speciale”, od individuando meccanismi che sono stati adottati in altre realtà territoriali particolarmente inquinate, quale il “bacino” di Bagnoli.
Anche se viene da chiedersi perché tali interventi ineludibili non siano stati inseriti nel cosiddetto “master Plan” della Città Metropolitana o non sono stati inseriti nelle misure strutturali di settore del PNRR per il Sud”.