«Ho letto un post di Federico Basile in cui dichiara di essere disponibile al confronto anche con i candidati minori. Così non è stato finora e, soprattutto, il candidato di Sicilia Vera dimostra di non conoscere le regole più elementari della politica. Nessuno può permettersi di definire un candidato come “minore”, specie un competitor. Noi non ci sentiamo secondi o subordinati a nessuno. Siamo l’incrocio di più biografie e siamo pronti a scalare la vetta. Lo dimostra la giunta che ho designato: sei assessori che insieme a me hanno l’obiettivo di risollevare Messina dopo gli anni bui che sono trascorsi».
Così il candidato sindaco della lista “Messina In Comune”, Gino Sturniolo, che oggi ha presentato ieri i propri assessori designati con le rispettive deleghe.
Saranno: Barbara Bisazza all’Urbanistica, Clelia Marano Politiche dell’integrazione e Politiche dell’infanzia, Francesca Fusco Lavoro e Partecipate, Antonio Curró Politiche dell’Abitare e Risanamento, Gaetano Princiotta Cariddi Beni Comuni e Autogoverno, Cultura e Sport e Giuseppe Cardullo Turismo e Spettacolo. Gino Sturniolo, invece, si incarica della delega al Bilancio.
«Riteniamo che su alcune cose bisogna fare chiarezza: ieri, nuovamente, Basile dal palco del suo comizio ha dichiarato di aver trovato 552 milioni di debiti e di averli ridotti a 140 milioni – commenta Sturniolo – Questa cosa riteniamo non sia vera e nei prossimi giorni faremo un’iniziativa in cui spiegheremo punto per punto, euro per euro, perché quella dichiarazione non ha fondamento. In campagna elettorale la sincerità dovrebbe essere il primo elemento, anche in vista di una competizione sana».
Di seguito gli interventi degli assessori designati:
Clelia Marano:
«Possiamo partire da una base: fino ad oggi in questa città non sono esistite le politiche per l’infanzia. Non esistono politiche per i bambini e sono, quindi, tutte da costruire. Noi lo possiamo fare perché i fondi ci sono, sia comunali che extracomunali. Basta fare un giro in città per comprendere il degrado in cui vivono i nostri bambini. Non ci sono villette, la villa Mazzini è chiusa, villa Sabin è quella che è. Insomma, quello che noi avevamo non ce l’hanno i nostri figli ed è per questo che c’è necessità di costruire all’interno del territorio, partendo dai villaggi e dai quartieri per mettere in condizione le famiglie di portare i bambini in luoghi sicuri dove poter crescere e socializzare. Abbiamo un territorio che ci consente di creare queste opportunità, perché vantiamo i monti e il mare allo stesso tempo. Possiamo anche creare degli asili comunali all’aria aperta, così come ci sono in tante regioni italiane. Basta pensare al parco Aldo Moro: che risorsa e che polmone verde potrebbe essere per la città e per i suoi bambini. Le politiche per l’infanzia devono essere affidate sempre a persone competenti e adeguatamente formate. Lavorare con i bambini vuol dire incaricarsi dell’affidamento temporaneo di questi. Vuol dire che mamme e papà ripongono in noi una fiducia immensa per tante ore al giorno. Viene da sé l’esigenza di avere mani sicure. Dobbiamo fare di più di quanto fatto finora».
Gaetano Pinciotta Cariddi:
«Per noi la questione dell’autogoverno è centrale perché rappresenta la trama del nostro programma. Riteniamo di dover opporre una realtà concreta all’utopia di poter risanare i conti, e diciamo così perché questa città ha delle ferite che la separano dalle sue periferie, che risentono di questa sofferenza. Il primo punto che vogliamo affrontare è la costituzione di alcuni presidi territoriali in ogni quartiere per i temi territoriali relativi all’autogoverno, allo sport e alla cultura, elementi che questo assessorato deve comprendere in quanto principi cardine del discorso con cui ci rivolgiamo a questa città, gli unici con cui riteniamo di poterla fare ripartire riprendendola in mano. È assolutamente necessario, quindi, ripartire dai bisogni reali di questa città, da quei bisogni che solo chi abita a Messina è in grado di comprendere fino in fondo. Ci tengo a sottolineare una cosa: in questo preciso momento noi non possiamo entrare nel dettaglio in quelli che sono tutti gli aspetti dell’autogoverno che intendiamo mettere in campo, perché è chiaro che questa è una dimensione che deve essere costruita in divenire. Il nostro obiettivo è quello di allontanarci dalle dinamiche elettorali delle circoscrizioni, aprendo degli spazi di confronto sullo sport e sulla cultura che permettano di stare insieme, di parlarsi e di ascoltarsi».
Giuseppe Cardullo:
«La delega al turismo, secondo me, è quella più semplice che esista qui. Lo dico perché un turista a Messina ha l’imbarazzo della scelta: mare caldo, mare freddo, il Pilone, i monti, la storia, la cultura, il museo, il Duomo, la spiaggia, l’arte e potrei stare qua ad elencare attrazioni per tutta la giornata. Insomma, abbiamo bellezze che basterebbero a creare turismo in 10 città differenti. Riuscire a non creare turismo a Messina è più difficile del riuscirci, eppure finora sono stati tutti bravi ad allontanare i turisti piuttosto che ad attrarli, salvo qualche eccezione. Per me, tutto quello che serve all’assessore al turismo è invitare per portare gente. Fra le mie prime azioni da assessore, chiamerei tutte le associazioni di categoria per cercare di fare squadra e attrarre turisti, e poi farli restare a Messina. Io ho un solo nemico nella vita: chi dice che a Messina non c’è niente. Non è così e come assessore al turismo penso che la strada sia già spianata, basta solamente decidere di utilizzare le risorse che abbiamo. Sulla delega allo spettacolo, mi vengono in mente i tantissimi primati di Messina: sul jazz, il primo film sonoro nel 1913, Marilyn Monroe che girava per le strade della città come se niente fosse, il palcoscenico del Teatro Vittorio Emanuele, ecc. A Messina potremmo attirare le produzioni cinematografiche per farla diventare popolare come Ragusa e Siracusa. Pensate all’effetto che ha avuto Montalbano su Punta Secca. Bisogna valorizzare gli artisti messinesi, oltre a pensare ai grandi eventi. Ogni euro speso per un evento qualsiasi ne fa guadagnare cinque. È dimostrato. Quindi ritengo che sia un investimento sensato ed interessante».
Barbara Bisazza:
«Messina ha la natura dalla sua parte e riesce, senza il nostro aiuto, a creare bellezza e armonia. D’altro canto, però negli ultimi cinquant’anni l’operato dell’uomo non è stato dei migliori dal punto di vista architettonico e urbanistico e purtroppo Messina è cresciuta in una maniera totalmente caotica. Da tecnico, lo dico apertamente, ci sono veramente delle brutture. La prima cosa che deve essere presa in considerazione, però, è la messa in sicurezza del territorio, un luogo fragile che è stato maltrattato sotto tutti i punti di vista. In particolare mi soffermo sui torrenti, molti dei quali sono stati coperti nei decenni, intervento pericolosissimo e, in futuro, da evitare. Al contrario, infatti, questi andrebbero valorizzati e ripristinati affinché svolgano il loro compito naturale: evitare l’erosione delle coste. L’abbiamo imparato alle elementari: i fiumi portano a valle i detriti e ci aiutano con il ripascimento delle coste. Un altro elemento fondamentale riguarda il recupero di tutto il patrimonio edilizio esistente, abbandonato e in stato di degrado, per poterlo riconvertire in tutto quello di cui abbiamo bisogno: abitazioni, teatri, spazi per i bambini, ecc. Importante è, in questo senso, il tema dell’autocostruzione: far intervenire la popolazione dei villaggi nei quartieri nella realizzazione degli spazi, un’azione efficace a livello psicologico perché chi aiuta a costruire qualcosa poi avverte un senso di appartenenza ad essa e se ne prenderà cura. Siamo gli unici a portare avanti il discorso del ponte, quindi è giusto anche intervenire su questo. Quando mi chiedono perché siamo “no ponte”, da tecnico, faccio sempre un esempio semplicissimo: se devo ristrutturare una casa combinata proprio male, la prima cosa che faccio è mettere in sicurezza la struttura. Solo dopo che mi sono accertata che al mio cliente non piove in casa e che non gli cade la casa in testa allora mi potrò occupare del rivestimento del bagno. Ma anche in quel caso, nel momento in cui faccio rivestimento del bagno, non è detto che io utilizzi il metodo tradizionale delle piastrelle: potrei usare qualcosa di nuovo, di cui ho bisogno in questo momento. Se proviamo a ribaltare i pensieri che abbiamo avuto fino ad oggi, magari otteniamo qualcosa di effettivamente diverso».
Francesca Fusco:
«Quello che noi vogliamo restituire a questa città è quella speranza che dica a tutte le lavoratrici e i lavoratori che non sono più soli. Questa città conta annualmente migliaia di immigrati e di emigranti per lavoro, nonché una percentuale altissima di lavoro in nero, precari e di sfruttamento. Mi ricordo che uno dei primi confronti avuti con un lavoratore era perché non voleva dare luogo ad una vertenza spaventato che nessuno l’avrebbe più assunto. Ogni cittadino deve acquisire la consapevolezza che non è da solo e per questo abbiamo intenzione di istituire delle realtà di confronto permanenti con tutte le vertenzialità che ci sono in essere. Vogliamo essere il pungolo di tutti gli enti preposti a verificare che ci sia rispetto delle regole vigenti per quanto riguarda l’ambito lavorativo, e vogliamo che non si sentano completamente abbandonati a loro stessi. Questa è la nostra prima missione, ma poi noi abbiamo anche un altro compito importante da svolgere: creare occupazione. Abbiamo la necessità di capire le risorse da utilizzare o richiedere al governo centrale insieme a tutti i comuni del Meridione, così da poter rimpinguare l’attività lavorativa nella città di Messina e decidere quali percorsi attivare, per restituire fiducia nella città a lavoratori e lavoratrici».
Antonio Currò:
«Per me, la cosa più difficile da fare è quella di trasformare l’elemento sindacale in proposta politica. Noi che parliamo di casa e di diritto all’abitare vediamo centrale il tema del lavoro. La questione casa deve venire trattata come una grande infrastruttura sociale che interagisce, quindi, contemporaneamente con il dipartimento all’urbanistica, il dipartimento dei servizi alle persone, quello alla casa, ai servizi sociali, ecc., senza che vengano disaccoppiate le varie problematiche. Inoltre, è importante differenziare la domanda abitativa che stiamo intercettando: un homeless o un senza fissa dimora non può essere trattato con lo stesso intervento politico-amministrativo di quello che ha perso il lavoro e che non riesce a pagarsi l’affitto, così come non si può mettere sullo stesso piano il discorso degli inquilini delle aree paracadute. Non si possono paragonare persone che hanno una crisi storica e cittadini che rischiano processi di disattivazione e, quindi, un’uscita drammatica dalla società. Vogliamo mettere al centro il nodo della sofferenza abitativa in città. Per me è fondamentale governare la difficile transizione dal diritto alla casa e dal diritto all’abitare, perché la casa non è una cosa, ma un’insieme di relazioni. Dobbiamo partire da una proposta shock: creare 100 case senza costruirne una, il che vuol dire che noi dobbiamo partire dalla riqualificazione, dalla rigenerazione urbana e dalla riconversione. Partiamo per esempio dai beni demaniali, di cui circa 350 prefabbricati del demanio e che equivalgono a 376.000 m² (cioè 52 campi da calcio). Quando parlo di prefabbricati, parlo della possibilità prevista dalla legge 164 del 2014 di fare accordi di programma con l’agenzia del demanio per gestire immobili in aree demaniali da destinare alle emergenze. Dobbiamo recuperare questi alloggi, fare un censimento pubblico serio, non come la patrimonio SPA non ha fatto. Sono dei veri e propri buchi neri che hanno succhiato bellezza e che stanno dando degrado alla città. Ma il più grande sfregio sono i 30.000 alloggi vuoti privati in questa città, che disegnano quella che è secondo me la geografia del dominio che regna qui. Io vorrei una grande agenzia per il diritto all’abitare dove si mettono a valore gli elementi più belli delle forze vive della città, il terzo settore, le forze sindacali e le associazioni di proprietari per dare vita ad un organismo interdipartimentale che gestisca il problema del dell’abitare».